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Sudan, due anni fa nasceva il governo fu unità nazionale
Due anni fa, il 18 agosto del 2019, veniva sottoscritto l’atto di costituzione del governo di transizione che sostituiva la Giunta militare sciolta il giorno prima chiudendo la fase del golpe che aveva portato alla caduta del regime di Omar Al Bashir, presidente dittatore che per 30 anni aveva vessato il suo popolo.
La formazione del Consiglio sovrano era stata ufficializzata con un decreto costituzionale emesso da Abdel Fattah al Burhan, capo uscente del Consiglio militare di transizione, e annunciata dal portavoce del Tmc, Shams al Din Kabbashi, in una conferenza stampa tenuta a Khartoum.
Una giornata storica per il Sudan, di cui sono stata testimone.
Presieduto dallo stesso Burhan, i’organismo politico del Sudan, composto da 11 membri (cinque militari, cinque civili e uno indipendente scelto fra le due parti), è tutt’ora alla guida del Paese e sta portando avanti un difficile processo di democratizzazione affiancato da un governo con a capo un economista, il primo ministro Abdalla Hamdok, incaricato di dirigere la politica nazionale durante il periodo di transizion.
I militari che fanno parte del Consiglio sovrano, oltre Burhan, il suo vice Mohamed Hamdan Dagalo, alias “Hemetti e Kabbashi, i generali Yasir al Atta e Ibrahim Jabir Karim, hanno finora lavorato in armonia con i cinque componenti della società civile, Aisha Mousa, Siddig Tower, Mohamed Elfaki Suleiman, Hassan Sheikh Idris e Taha Othman Ishaq e l’unico indipendente, Raja Nicolas Abdel-Masih, designato dalle due parti.
La nomina del nuovo premier era stata accolta da subito con favore dalla comunità internazionale.
Era stato un primo passo verso la creazione di un governo che aveva portato alla pacificazione nel Paese con l’approvazione di una Costituzione basata sulla tutela dei diritti umani dei cittadini e la creazione dell’infrastruttura necessaria all’organizzazione di elezioni libere e democratiche che dovrebbero tenersi nel 2022.
Oggi il Sudan sta provando a rilanciarsi economicamente in seguito alla fine delle sanzioni economiche statunitensi e all’avvio di una nuova stagione politica. Un rilancio che deve fare i conti però con gli effetti della pandemia e con una situazione molto difficile condita da un’inflazione galoppante e un disagio sociale crescente.
Il settore bancario sudanese è riuscito a risollevarsi prima del collasso ma l’emergenza sanitaria ha frenato la ripresa economica.
Durante questi primi 24 mesi dei tre anni e mezzo previsti di transizione è stata avviata una profonda riforma delle istituzioni statali, con il contrasto alla corruzione e la definizione di uno stato trasparente ed equo, sviluppando relazioni esterne distese e con un’equa rappresentanza delle donne nelle istituzioni.
“L’economia sudanese è oggi più solida e di grandi dimensioni e credo che con la giusta visione e le giuste politiche saremo in grado di affrontare questa crisi e porteremo a termine un piano di riforme in grado di affrontare l’inflazione, la carenza di carburante e medicinali e migliorare la nostra produttività”, ha affermato durante la celebrazione di oggi della firma dell’accordo costituzionale.
L’ottimismo è d’obbligo, resta la complessità di un quadro ancora instabile a causa di sacche di insoddisfazione nella fascia più indigente della società, dei tentativi di gruppi islamisti di far deragliare il processo democratico in corso e delle tensioni con i paesi confinanti, in particolare con l’Etiopia che ha terminato la costruzione della grande Diga della rinascita che rischia di portare a uno scontro militare i due paesi.