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Sudan, Amnesty conferma inchiesta Focus on Africa: milizie responsabili di crimini in Darfur

Da mesi vi raccontiamo, attraverso i reportage e le analisi del nostro direttore Antonella Napoli, e la corrispondenza dei nostri collaboratori sul posto, dei crimini che le milizie filogovernative formate in larga parte dai “janjaweed” (letteralmente “diavoli a cavallo”) stanno perpetrando in Darfur, regione occidentale del Sudan, come nella capitale Khartoum e in molte altre città sudanesi.
Ora Amnesty International in un dettagliato rapporto conferma quei massacri, compiuti dalle Rapid Support Force, insieme alle forze militari regolari, nei confronti di uomini, donne e bambini.
Dal report emergono nuove inquietanti prove, tra cui immagini satellitari, che
mostrano come nell’ultimo anno le forze di sicurezza si siano rese responsabili della distruzione totale o parziale di almeno 45 villaggi, oltre che di uccisioni illegali e violenze sessuali.
“Nel Darfur, come a Khartum, abbiamo assistito alla spregevole brutalità delle Forze di sostegno rapido contro i civili sudanesi, con la sola differenza che in Darfur hanno commesso atrocità per anni nell’impunità” ha affermato il segretario generale di Amnesty International, Mumi Naidoo, il quale ha chiesto al Consiglio militare transitorio del Sudan di “estromettere immediatamente le Rsf da
qualsiasi funzione di polizia e di forza dell’ordine, in particolare a Khartum e nel Darfur, e di confinarle nelle loro caserme nell’interesse della pubblica sicurezza”.
Secondo Amnesty, l’Onu e l’Unione
africana “non devono voltare le spalle alla popolazione del Darfur che si affida alle forze di pace per la propria protezione” e la decisione di chiudere la missione Unamid “metterebbe a rischio inutilmente decine di migliaia di
vite”.
Nel 2017 e nel 2018 l’Onu e l’Ua hanno deciso di ridurre drasticamente il numero delle truppe Unamid, oltre a chiudere la maggior parte delle sue basi e a riconfigurare il resto della missione per concentrarsi sulla protezione dei civili nella regione del Mar Arabico del Darfur, dove i problemi relativi ai diritti umani e alla protezione erano più urgenti. Alla fine di giugno l’Ua e l’Onu dovranno votare per decidere se prorogare o ritirare tutte le restanti forze di pace dal Darfur entro il giugno 2020, compresa la maggior parte dei siti militari entro dicembre 2019. In base a quanto concordato in precedenza con il governo di Khartum, le basi Unamid avrebbero dovuto essere consegnate al governo per scopi civili, ma sono finite quasi tutte in mano alle Rsf che, secondo la denuncia di Amnesty, hanno commesso crimini contro l’umanità nel Darfur settentrionale e meridionale nel 2014, e nell’area montuosa del Jebel Marra nel 2015 e nel 2016, continuandovi a commettere crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani.
Le stesse milizie para militari si sono rese responsabili dell’uccisione di oltre 118 manifestanti in seguito alla repressione autorizzata dall’esercito lo scorso 3 giugno a Khartoum, dopo il fallimento dei colloquio fra il Consiglio militare e le forze dell’opposizione per la spartizione del potere dopo il rovesciamento del presidente Omar al Bashir.
Secondo la Ong è grave che l’Onu e l’Unione africana considerino anche solo la possibilità di ritirare gli ultimi peacekeeper dal Darfur, consegnando di fatto alle Rsf il controllo delle aree civili.
Amnesty attraverso una lettera aperta al Consiglio di Sicurezza sottoscritta anche da Human Rights Watch e International Crisis Group ha dunque chiesto l’urgente invio nella regione di una forte missione delle Nazioni Unite, autorizzata a usare la forza per proteggere i civili.
“Il Consiglio di Sicurezza deve adempiere alla propria responsabilità di proteggere la popolazione civile del Sudan da ulteriori attacchi e premere affinché il governo di Khartoum cessi di temporeggiare e accetti la presenza internazionale.
Il 28 aprile il Consiglio di Sicurezza ha approvato la Risoluzione 1674, che pone l’accento sulla responsabilità degli Stati di proteggere i popoli dal genocidio, dai crimini di guerra, dalla pulizia etnica e dai crimini contro l’umanità.
“Il Darfur è la cartina di tornasole per verificare l’impegno dell’Onu nell’assumersi la responsabilità di proteggere i civili” ribadisce Amnesty che rileva come la campagna contro-insurrezionale del governo sudanese nell’area abbia causato decine di migliaia di uccisioni, stupri e attacchi e ha costretto alla fuga quasi due milioni di persone.
Ma il governo sudanese continua a opporsi all’invio di una forza Onu nel Darfur, nonostante l’accordo di pace del 5 maggio stabilisca le condizioni preliminari per il suo dispiegamento.
Secondo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, Khartoum avrebbe dovuto favorire, entro il 23 maggio, l’ingresso del personale Onu incaricato della pianificazione della missione. Ieri l’inviato speciale del segretario generale dell’Onu, Lakhdar Brahimi, ha fatto sapere che il Sudan ha accettato l’ingresso di una squadra di ‘pianificatori’ dell’Onu, ma non ha fornito ulteriori dettagli sull’esito dei suoi colloqui con le autorità sudanesi.
Amnesty International, Human Rights Watch e International Crisis Group ritengono che, se il Sudan non si atterrà alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza, questo organismo dovrà prendere in considerazione l’applicazione di ulteriori sanzioni nei confronti delle autorità sudanesi che ostacolano gli sforzi dell’Onu.
La missione dell’Unione Africana sta affrontando condizioni di sicurezza sul terreno in forte deterioramento.
Dalla fine del 2005, gli attacchi contro i civili, gli operatori delle organizzazioni non governative e il personale dell’Unione Africana sono aumentati. Secondo dati Onu risalenti ad aprile, almeno 650.000 civili in disperato bisogno non stanno ricevendo assistenza umanitaria perché gli operatori delle Ong non riescono a raggiungerli.
“Ora che le Forze di supporto rapido hanno raggiunto la capitale sudanese e fatto conoscere al mondo, attraverso immagini di coraggiosi reporter e attivisti, la loro brutalità, ci si augura che le Nazioni Unite possano riportare la loro attenzione sui crimini di guerra e crimini contro l’umanità che quella vera e propria impresa criminale ha commesso e continua a commettere da 16 anni in Darfur. L’impegno internazionale in Darfur, compreso quello regionale dell’Unione africana è progressivamente calato, per non parlare del consueto disinteresse dell’opinione pubblica e dei grandi mezzi di comunicazione. Le Nazioni Unite hanno l’opportunità, direi meglio il dovere, di rafforzare i propri sforzi per proteggere la popolazione civile del Darfur. Fare qualcosa di diverso sarebbe un vergognoso tradimento verso i darfuriani” è il commento conclusione di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International e opinionista di Focus on Africa.

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