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Interviste

Sud Sudan, Ojok: tra Covid 19 e fame, 60% popolazione fatica a trovare cibo

In Sud Sudan, il Covid19 e un’altra “pandemia”, quella della fame, stanno mietendo centinaia di vittime. “Il 60% della popolazione fatica ogni giorno a trovare il cibo” racconta il Direttore di Amref Health Africa-Sud Sudan, Morrish Ojok. “Chi non ha possibilità di acquistare mascherine si industria con ciò che ha. Intanto Amref è dentro uno…

In Sud Sudan, il Covid19 e un’altra “pandemia”, quella della fame, stanno mietendo centinaia di vittime.
“Il 60% della popolazione fatica ogni giorno a trovare il cibo” racconta il Direttore di Amref Health Africa-Sud Sudan, Morrish Ojok.
“Chi non ha possibilità di acquistare mascherine si industria con ciò che ha. Intanto Amref è dentro uno dei centri nevralgici per la lotta al Covid: l’unico laboratorio per individuare i casi. Il nostro Paese da tempo combatte con quella che viene definita una pandemia della fame e ora sta affrontando la lotta contro la diffusione del Coronavirus”. Com’è la situazione sanitaria in Sud Sudan?
“Il Sud Sudan ha registrato un forte aumento dei casi di Coronavirus negli ultimi giorni, e ad oggi conta 655 casi e 8 decessi legati al COVID-19. In totale, dall’inizio dell’epidemia, ci sono stati 816 casi confermati nel Paese. Purtroppo, non c’è una risposta certa rispetto all’attendibilità di questi numeri; la capacità di controllo e di monitoraggio dei casi, in Sud Sudan, non è ben sviluppata. I test vengono fatti nei limiti delle risorse che il Paese ha a disposizione. Dall’inizio della pandemia, sono stati fatti poco più di 2.000 test, con un numero massimo giornaliero di 185. Nessuno sa cosa succederà al Paese, a livello economico, sociale e sanitario, per via della pandemia. Ma soprattutto nessuno sa in che modo si comporterà il virus, quanto durerà e che conseguenze avrà”.
Quali sono gli stati d’animo più diffusi? Come stanno reagendo le persone?
“La pandemia è particolarmente temuta nel Paese, già colpito da conflitto civile, economia al collasso e crisi umanitaria. La popolazione è consapevole delle debolezze, a livello economico e sanitario, del Sud Sudan, ed è quindi molto confusa e molta spaventata. Molti non hanno i mezzi economici o non vivono nelle condizioni sociali per poter far fronte alla pandemia o seguire le raccomandazioni anti-COVID. Tuttavia, nei limiti del possibile, seguono tutti i consigli e le linee guida comportamentali anti-COVID indicate dal governo e dai partner. Il distanziamento sociale non sempre è possibile, come nel caso delle baraccopoli o delle famiglie numerose, come non sempre è possibile l’acquisto dei dispositivi di protezione individuale. Tuttavia, c’è moltissima buona volontà; chi non ha la disponibilità economica per comprare una mascherina, nella maggior parte dei casi la produce in casa con vecchie stoffe, o utilizza capi di abbigliamento qualunque per coprirsi naso e bocca quando si trova in luoghi affollati. Le persone hanno paura, che è in parte il motivo di questa estrema attenzione alle regole, ma hanno anche un forte senso civico, che contribuisce enormemente”.
Quali sono le conseguenze economiche del COVID-19 in Sud Sudan?
“La pandemia di COVID-19 ha solo peggiorato uno stato socioeconomico e sanitario già molto precario. L’aspetto economico del Sud Sudan va infatti analizzato sotto diversi punti di vista. Innanzitutto, è importante ricordare che l’economia del Sud Sudan dipende quasi esclusivamente dall’importazione di beni, mentre l’economia interna dipende quasi esclusivamente dal lavoro informale, dall’agricoltura e dalla sussistenza alla giornata degli individui. E al momento, queste attività, che permettono all’economia di girare, sono ferme. Inoltre, il Sud Sudan, oltre alla pandemia di COVID-19, da tempo combatte con quella che viene definita una “pandemia della fame”. La fame e la malnutrizione nel Paese hanno raggiunto, in questo periodo, i livelli più alti dal 2011, con quasi il 60% della popolazione che fatica a trovare cibo ogni giorno, che equivale a circa 6 milioni di persone. Il Paese è anche molto colpito da inondazioni e carestia, che ovviamente influenzano lo stato economico, sociale e sanitario del Paese. La sicurezza alimentare è notevolmente peggiorata nelle zone colpite dalle inondazioni dello scorso anno, per esempio, da cui il Paese non ha fatto in tempo a riprendersi e che hanno colpito circa 908 mila persone. Dall’inizio della pandemia di COVID-19, c’è stato un breve periodo di lockdown, ma poi il Paese è stato costretto a ripartire. Il Sud Sudan non si può permettere un lockdown totale”.
Non c’è un lockdown in atto, ma ci sono delle restrizioni?
“Alcuni luoghi pubblici sono tuttora chiusi, c’è un coprifuoco dalle ore 19.00 alle ore 06.30, c’è l’obbligo di mantenere due metri di distanza tra le persone, di indossare la mascherina; le linee guida rimangono invariate. Il governo sta lavorando molto per tutelare la popolazione. Sta facendo il possibile pere in modo che il Paese possa tornare ad importare cibo, beni primari e materiali sanitari necessari per far fronte alla pandemia”.
Ci sono stati atti di violenza, in questi ultimi giorni, in Sud Sudan. Il COVID-19 come influisce sulla gravità degli scontri?
“Qualche giorno fa, centinaia di persone – almeno 280 – sono state uccise in una nuova esplosione di violenza intercomunitaria nel Paese, che ha causato anche molti feriti e migliaia di sfollati. Tra le persone tragicamente decedute, anche un operatore sanitario di Medici senza Frontiere e due di ONG locali. Al di là della drammaticità dell’evento in sé, la pandemia di COVID-19 ha reso molto più complicati gli sforzi per rispondere in maniera appropriata alla violenza. In passato, è capitato che la protezione dei civili (POC), che fa parte del Peacekeeping delle Nazioni Unite, intervenisse per porre fine agli scontri e ristabilire la pace all’interno del Paese. Oggi, a causa della pandemia, questo non è stato possibile. La presenza del virus ha reso più difficile recarsi sul posto e trovare strutture e cure sanitarie adatte per i feriti. Le conseguenze sono altrettanto problematiche: le persone non si sentono protette. La morte degli operatori sanitari, recatisi sul posto per aiutare la popolazione, ha fatto sentire indifesi i beneficiari locali. La pandemia sta mettendo il Paese a dura prova, sotto moltissimi punti di vista”.
Sono risultati positivi al COVID-19 membri del governo e della task force. Cosa ne pensano le persone di questo? L’alto profilo di queste persone offre alla popolazione una prospettiva diversa su COVID-19?
“Dieci ministri nel Sud Sudan sono risultati positivi al Coronavirus, compresi il vicepresidente Riek Machar e sua moglie, ministra della Difesa, Angelina Teny. Di fatti, tutti membri della task force contro COVID-19 hanno contratto il virus, fatta eccezione per il ministro della Sanità. Ad oggi, non ci sono fonti certe sul risultato del test del Presidente Salva Kiir. Girano molte notizie false. Tutti i ministri positivi sono ora in auto-isolamento. L’alto profilo di queste persone non ha offerto alla popolazione una prospettiva diversa, ma ha decisamente contribuito ad aumentare la paura. I membri del governo risultati positivi sono e saranno tenuti sotto controllo fino a guarigione, e gestiti nel migliore dei modi”.
Cosa sta facendo Amref, in Sud Sudan?
“In Sud Sudan, Amref sta collaborando con il governo e contribuendo enormemente alla lotta contro la diffusione del COVID-19. Tra i vari interventi, la realizzazione di strutture dedicate all’auto-isolamento e il coinvolgimento nell’istituzione dell’unico laboratorio scientifico del Sud Sudan, che ora permette al Paese di analizzare in maniera rapida ed efficace i test per il COVID-19. Il laboratorio offre al Sud Sudan anche la possibilità di sostenere, a livello generale, il proprio sistema sanitario, avanzando e migliorando la risposta sanitaria a polmoniti, bronchiti o malaria. Amref è inoltre coinvolta nella formazione di operatori sanitari e di operatori sanitari delle comunità locali (Community Health Workers, o CHW). Ad oggi, grazie ad Amref, nel Paese sono stati formati 312 operatori sanitari e 684 CHW per riconoscere, monitorare e rispondere in maniera adeguata al virus. I pilastri coperti da Amref, negli interventi contro COVID-19, sono 1) Progetti Wahs – acqua/igiene 2) sorveglianza e risposta rapida, 3) consapevolezza e comunicazione dei rischi, tramite attività di sensibilizzazione, 4) gestione dei casi, e 5) implementazione del coordinamento e della logistica. Inoltre, per semplificare l’accesso alle informazioni necessarie e ridurre al minimo la disinformazione nel Paese, Amref ha finanziato una trasmissione radiofonica dell’NSA, grazie alla quale le informazioni riguardanti la diffusione del virus e sulle misure di sicurezza da implementare hanno raggiunto circa 15.000 persone adulte in quattro Contee. Grazie al sostegno di donatori come l’AICS – Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, garantiamo salute, acqua, igiene e nutrizione alle comunità, così come accade nell’area del Greater Equatoria, nell’ambito del progetto SANI. Amref è impegnata, dal 1972, a sostenere la ricostruzione del sistema sanitario del Sud Sudan, per assicurare la promozione della salute attraverso l’incremento dell’accesso ai servizi sanitari di base. In questo momento, il Paese ne ha bisogno più che mai”.

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“Dobbiamo collaborare, dobbiamo rimanere uniti. Le cose stanno cambiando rapidamente e il Sud Sudan sta facendo tutto il possibile per superare anche questo momento di crisi”.
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