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Speciale migranti / Cosa prevede il ‘decreto immigrazione sicurezza’ pubblicato il 21 ottobre 2020

1. È in vigore dal 22 ottobre 2020 un nuovo ‘decreto immigrazione-sicurezza’, approvato dal Governo Conte II. È il decreto-legge 21 ottobre 2020, n. 130, recante “Disposizioni urgenti in materia di immigrazione, protezione internazionale e complementare, modifiche agli articoli 131-bis, 391-bis, 391-ter e 588 del codice penale, nonché misure in materia di divieto di accesso agli esercizi pubblici ed ai locali di pubblico trattenimento, di contrasto all’utilizzo distorto del web e di disciplina del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale”.

Le ragioni di necessità ed urgenza che legittimano l’uso del decreto-legge ai sensi dell’art. 77 Cost. sono state individuate nella non più procrastinabile esigenza di chiarire alcuni profili dei precedenti decreti-sicurezza (il d.l. 4 ottobre 2018, n. 113 e il d.l. 14 giugno 2019, n. 53) – risalenti al Governo Conte I (allorché Ministro dell’Interno era Matteo Salvini) – attraverso una loro rimodulazione che tenesse conto dei principi costituzionali e internazionali vigenti in materia, nonché di alcuni aspetti funzionali che avevano generato difficoltà applicative.

Come osservato dalla relazione illustrativa, il nuovo intervento normativo, pur fortemente invocato da una parte delle forze politiche, risponde soprattutto alla oggettiva necessità di dar seguito ad alcune osservazioni formulate dal Presidente della Repubblica in sede, dapprima, di emanazione del d.l. 113/2018 e poi di promulgazione della l. 77/2019, di conversione in legge del d.l. 53/2019.

 

2. Con uno sguardo d’insieme – salvo soffermarsi più da vicino nel prosieguo sulle modifiche più rilevanti – i sedici articoli del decreto modificano la disciplina vigente in materia di condizione giuridica dello straniero (requisiti per il rilascio del permesso di soggiorno e convertibilità degli stessi in permessi di lavoro), protezione internazionale e sistema di accoglienza, divieto di transito delle navi nel mare territoriale, trattenimento amministrativo dello straniero e attribuiscono l’inedito ruolo del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale quale organo di reclamo per le condizioni di vita all’interno dei centri di trattenimento per i migranti.

Di immediata rilevanza penale, invece, sono le modifiche in tema di inapplicabilità della causa di non punibilità ex art. 131 bis c.p., le nuove disposizioni in materia di comunicazioni in carcere (con la modifica del reato di agevolazione ex art. 391 bis e l’introduzione del delitto di indebito accesso di dispositivi idonei alla comunicazione di soggetti detenuti ai sensi del nuovo art. 391 ter), l’inasprimento sanzionatorio per la rissa, le modifiche al c.d.  “DASPO urbano”, il contrasto alla commissione attraverso internet di reati in materia di stupefacenti.

 

3. Le modifiche al codice penale (artt. 131 bis, 391 bis, 391 ter, 588 c.p.).

3.1. Partendo proprio dalle modifiche che interessano il codice penale, l’art. 7 del decreto interviene sul testo dell’art. 131 bis co. 2, secondo periodo del codice penale, restringendo i casi di esclusione della causa di non punibilità. Nel 2019, ad opera del cd. decreto-sicurezza bis, proprio il secondo comma dell’art. 131 bis c.p. era stato oggetto di una modifica che aveva inserito il seguente periodo: «L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive». Successivamente, l’art. 1, comma 1 della l. 8 agosto 2019, n. 77, in sede di conversione del sopracitato decreto, aveva aggiunto le seguenti parole: «, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341 bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni».

Ora, il decreto in commento interviene nuovamente su tale comma, circoscrivendo i casi di esclusione della causa di non punibilità che risulta oggi applicabile alle condotte penalmente rilevanti rivolte nei confronti di un ufficiale o agente di pubblica sicurezza o di un ufficiale o agente di polizia giudiziaria nell’esercizio delle proprie funzioni (definizione meno ampia di quella previgente che, lo si ricorda, faceva riferimento a un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni).

Al contempo, però, la novella aggiunge una nuova ipotesi di esclusione di applicabilità del 131 bis, prevedendo che non possa più dirsi di particolare tenuità un’offesa in caso di oltraggio a magistrato in udienza (art. 343 c.p.).

Si segnala, a tal proposito, che con ordinanza del 5 febbraio 2020, n. 93, il Tribunale di Torino ha sollevato una questione di legittimità costituzionale dell’art. 131 bis c. 2 c.p. – come novellato dal decreto sicurezza bis – per contrasto con gli artt. 3, 27 co. 3 e 117 co. 1 Cost. in relazione all’art. 49 co. 3 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea nella parte in cui esclude che l’offesa possa ritenersi di particolare tenuità, tra l’altro, nei casi di cui all’art. 337 c.p., quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni. Tra le diverse ragioni addotte[1], il Tribunale evidenziava, in particolare, un profilo di irragionevolezza nella scelta di escludere a priori la possibilità di particolare tenuità per l’oltraggio a un pubblico ufficiale (ex art. 341 bis c.p.) ma di ritenere invece applicabile il 131 bis ai fatti di oltraggio a un corpo politico, amministrativo o giudiziario (exart. 342 c.p.) o all’oltraggio a magistrato in udienza (ex art. 343 c.p.).

Orbene, se l’ultimo intervento del legislatore ha compreso anche l’art. 343 c.p. nelle ipotesi di inapplicabilità della causa di non punibilità, non possono dirsi risolte le altre questioni sollevate con riferimento all’art. 337 – rimasto indenne da ogni modifica – per le quali si dovrà dunque attendere la pronuncia della Corte costituzionale.

 

3.2. Sull’onda dell’incremento del numero di casi di telefoni cellulari rinvenuti all’interno degli istituti penitenziari[2], gli articoli 8 e 9 del decreto in commento ridefiniscono e inaspriscono la disciplina delle abusive comunicazioni con l’esterno dei detenuti. Innanzitutto, l’art. 8 del decreto modifica lart. 391 bis c.p. (ora rubricato: Agevolazione delle comunicazioni dei detenuti sottoposti alle restrizioni di cui all’articolo 41 bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. Comunicazioni in elusione delle prescrizioni) in tre punti. I primi due riguardano un innalzamento delle pene già previste per chi agevoli la comunicazione con l’esterno di detenuti sottoposti al severo regime dell’art. 41 bis ord. pen. (l’originaria pena da 1 a 4 anni viene ora portata da 2 a 6 anni di reclusione) e per le medesime condotte poste in essere da un pubblico ufficiale o da un avvocato, ora punite con la reclusione da 3 a 7 anni (in precedenza la cornice edittale era da 2 a 6 anni). La terza modifica, infine, aggiunge un terzo comma alla fattispecie cha da oggi dunque sanziona con la pena da 2 a 6 anni anche il detenuto in 41 bis che comunichi con altri in elusione delle prescrizioni imposte. Ci si potrebbe interrogare, peraltro, sulla reale necessità di tali modifiche posto che la norma – inserita dal legislatore con la l. 15 luglio 2009, n. 94 (il cd. pacchetto sicurezza) – in undici anni di vita risulta essere sostanzialmente priva di applicazioni pratiche[3].

L’art. 9 del decreto, invece, introduce al nuovo art. 391 ter c.p. la fattispecie di accesso indebito a dispositivi idonei alla comunicazione da parte di soggetti detenuti. La nuova norma incriminatrice prevede che – fuori dai casi di cui all’articolo precedente – sia punito con la pena della reclusione da 1 a 4 anni (o da 2 a 5 anni sesi tratta di pubblico ufficiale o un avvocato) chi procuri a un detenuto (anche non in regime di 41 bis) un telefonino o un qualunque dispositivo idoneo ad effettuare  comunicazioni o, più semplicemente, consenta l’uso indebito di tali strumenti o, ancora, introduca in un istituto penitenziario uno dei predetti strumenti al fine renderlo disponibile a una persona detenuta. Simmetricamente, la pena della reclusione da 1 a 4 anni, salvo che il fatto costituisca un più grave reato, si applicherà anche al detenuto che indebitamente riceve o utilizza tali strumenti, fino ad oggi soggetto ad un mero illecito disciplinare.

 

3.3. Ancora di interesse marcatamente penalistico è la modifica apportata dall’art. 10 del provvedimento in questione, al reato di rissa ex art. 588 c.p. In risposta alla “recrudescenza di fenomeni criminosi” (il riferimento, verosimilmente, è alla triste vicenda di Willy Duarte), il decreto rivede la cornice edittale del reato, innalzando al primo comma (da 309) a 2000 euro il limite edittale massimo della multaper chi vi partecipi. Al comma secondo, che disciplina l’ipotesi in cui nel corso della rissa taluno rimanga ucciso o riporti lesioni personali, la cornice edittale della reclusione per i partecipanti – in precedenza fissata tra tre mesi e cinque anni – viene oggi innalzata e ricompresa tra sei mesi e sei anni.

 

4. Le modifiche in materia di immigrazione.

4.1. Sei dei sedici articoli di cui si compone il decreto-legge intervengono in materia di immigrazione apportando modifiche al d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico in materia di immigrazione, d’ora in avanti t.u.imm.), al d.lgs. 18 luglio 2015, n. 142 (attuazione della direttiva 2013/33/UE recante norme relative all’accoglienza dei richiedenti protezione internazionale, nonché della direttiva 2013/32/UE, recante procedure comuni ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale.) e al d.lgs. 28 gennaio 2008, n. 25 (attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato).

Pur non essendo questa la sede per una completa disamina delle modifiche alla disciplina in materia di immigrazione, appare opportuno mettere in luce gli interventi più rilevanti, sia per la loro risonanza mediatica, sia per la loro collocazione in una ‘zona grigia’ a confine tra diritto amministrativo e diritto penale.

 

4.2. L’art. 1 del decreto-legge in commento detta disposizioni in materia di permesso di soggiorno e controlli alla frontiera. Se il d.l. 113/2018 esordiva con l’abrogazione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, l’odierno decreto si apre con il reinserimento – all’art. 5 co. 6 t.u.imm. – della menzione del rispetto degli obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano, eliminato dal d.l. 113/2018.

Inserendo il nuovo comma 1 bis all’art. 6 t.u.imm.  il decreto prevede, inoltre, un elenco di tipi di permesso di soggiorno per i quali viene ammessa, a determinate condizioni, la conversione in permesso di soggiorno per motivi di lavoro[4].

 

4.3. In tema di controlli alla frontiera, il decreto interviene sul discusso divieto di ingresso, transito e sosta delle navi nel mare territoriale, introdotto dal decreto sicurezza bis del 2019 e che, in più occasioni, aveva determinato il prolungato stallo di decine di migranti a bordo di navi delle ONG.

Ad opera dell’art. 1 co. 1 lett. c e d, vengono quindi abrogati: il comma 1 ter dell’art. 11 (che assegnava al Ministro dell’interno il potere limitare o vietare l’ingresso, il transito o la sosta di navi nel mare territoriale) e i commi 6 bis, 6 ter e 6 quater dell’art. 12 (che prevedevano le pesanti sanzioni amministrative – da 150.000 a 1.000.000 euro – e la confisca delle navi, in caso di violazione dei divieti disposti ai sensi dell’art. 11 co. 1 ter).

Pur rimodellati ed espunti dal t.u.imm., però, sopravvivono sia il divieto di transito e sosta (non si parla più di ingresso, invece) che la loro sanzione che, in virtù dell’applicabilità dell’art. 1102 cod. nav., diventa una pena. L’art. 1 co. 2 del decreto-legge, infatti, prevede che, fermo restando quanto previsto dall’articolo 83 del Codice della navigazione[5], per gli stessi motivi e negli stessi casi fino a ieri previsti dall’art. 11 co. 1 ter t.u.imm.[6], il Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro della difesa e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti – previa informazione al Presidente del Consiglio dei ministri – possa (ancora) limitare o vietare il transito e la sosta di navi nel mare territoriale, salvo che si tratti di naviglio militare o di navi in servizio governativo non commerciale.

Una rilevante novità introdotta dal decreto è la previsione che tali disposizioni non si applichinoad operazioni di soccorso immediatamente comunicate al centro di coordinamento competente per il soccorso marittimo e allo Stato di bandiera, effettuate nel rispetto, da un lato, delle indicazioni impartite dall’autorità competente per la ricerca e soccorso in mare e, dall’altro, degli obblighi internazionali in materia di diritto del mare e di diritti dei rifugiati[7].

In caso di inosservanza dei suddetti divieti – abrogate le esorbitanti sanzioni amministrative precedentemente previste e, in particolare, eliminata la previsione della misura della confisca delle navi – troverà applicazione l’articolo 1102 del Codice della navigazione[8], che commina la pena della reclusione fino a due anni, nonché la multa da euro 10.000 ad euro 50.000.

 

4.4. Confermano la rinnovata volontà di rispetto degli obblighi internazionali, gli interventi ai commi 1.1., 1.2. e 2 dell’art. 19 t.u.imm. in tema di divieti di espulsione e di respingimento.

In particolare, ai sensi del nuovo art. 19 co. 1.1., non è ammesso il respingimento, l’espulsione o l’estradizione di una persona verso uno Stato qualora esistano fondati motivi di ritenere che essa rischi di essere sottoposta – non più solo – a tortura ma ora anche a trattamenti inumani o degradanti (art. 3 CEDU) o anche quando vi sia motivo di ritenere che l’allontanamento dal territorio nazionale comporti una violazione del diritto al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 8 CEDU)[9], a meno che esso non sia necessario per ragioni di sicurezza nazionale ovvero di ordine e sicurezza pubblica (dovendosi così tenere conto della natura e della effettività dei vincoli familiari dell’interessato, del suo effettivo inserimento sociale in Italia, della durata del suo soggiorno nonché dell’esistenza di legami familiari, culturali o sociali nel  paese d’origine).

In aggiunta, ai sensi del nuovo comma 1.2. dell’art. 19, ricorrendo tali ipotesi di divieto di refoulement ed essendo già stata rigettata la domanda di protezione internazionale, la Commissione Territoriale dovrà trasmette gli atti al Questore per il rilascio di un permesso di soggiorno per protezione speciale (così, di fatto, ripristinando il permesso di soggiorno per motivi umanitari). La modifica all’art. 19 comma 2, invece, estende il divieto di refoulement (prima previsto per stranieri che versavano in condizioni di salute di particolare gravità) anche agli stranieri affetti da patologie relative alla sfera psichiatrica.

L’art. 2 del decreto detta disposizioni circa il procedimento di riconoscimento della protezione internazionale andando ad incidere sul decreto legislativo 28 gennaio 2008, n. 25 e riscrivendo la disciplina dell’esame prioritario e della procedura accelerata, nonché i poteri delle commissioni territoriali.

 

4.5. Di particolare interesse è l’art. 3 del decreto-legge, che apporta alcune modifiche in materia di trattenimento amministrativo degli stranieri, misura spesso oggetto di attenzione anche da parte dei penalisti (nonché del Garante delle persone private della libertà) per la affinità – nella sostanza, ma non nelle garanzie – con la privazione della libertà di matrice penale.

Di recente, a Milano, il tema è stato oggetto di dibattito anche da parte dell’opinione pubblica in ragione della riapertura, tra le proteste, del CPR di via Corelli[10], che negli aveva fatto spesso parlare di sé per suicidi, violenze e abusi[11].

In primo luogo, il decreto-legge aggiunge all’art. 10 ter co. 3 t.u.imm. – articolo inserito nel 2017 dal cd. decreto Minniti e che, per la prima volta, aveva nominato in una fonte di rango primario e fornito di una (apparente) base normativa gli hotspot[12] – la previsione che lo straniero, che si trovi trattenuto in un CPR a seguito del rifiuto reiterato di sottoporsi ai rilievi fotodattiloscopici, sia tempestivamente informato dei diritti e delle facoltà derivanti dal procedimento di convalida del decreto di trattenimento in una lingua da lui conosciuta.

Tramite l’inserimento di un rinvio all’art. 14, viene poi equiparata (nelle forme) al trattenimento nei CPR, la privazione della libertà che avviene – ai sensi dell’art. 13 co. 5 bisin (non meglio definite) strutture diverse e idonee nella disponibilità dell’Autorità di pubblica sicurezza o nei locali idonei presso l’ufficio di frontiera qualora il trattenimento nell’attesa della convalida del giudice sul provvedimento di espulsione non possa avvenire in un CPR per carenza di posti disponibili.

Cinque sono le modifiche apportate all’art. 14 t.u.imm, pietra angolare dell’intero sistema di trattenimento amministrativo.

La prima modifica prevede un procedimento per l’individuazione del CPR presso cui trasferire lo straniero destinatario di un provvedimento di espulsione che non è possibile eseguire con immediatezza, incaricando il questore di avanzare apposita richiesta alla Direzione centrale dell’immigrazione e della polizia delle frontiere del Dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell’interno.

La seconda modifica introduce, in caso di carenza di posti, un meccanismo di priorità di trattenimento che dia la precedenza a coloro che siano considerati una minaccia per l’ordine e la sicurezza pubblica o che siano stati condannati, anche con sentenza non definitiva, per i reati di cui all’art. 4 co. 3, terzo periodo e all’art. 5 co. 5 bis (le stesse condizioni ostative al rilascio del visto e del permesso di soggiorno), nonché per coloro che siano cittadini di (o che, più semplicemente provengano da) Paesi terzi con i quali sono vigenti accordi di cooperazione o altre intese in materia di rimpatrio.

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