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Somalia, le forze Usa se ne andranno dopo anni di abusi. Resteranno impunite?

Dopo settimane di ipotesi su un cambio nelle politiche, il 4 dicembre il dipartimento della Difesa statunitense ha annunciato il ricollocamento, da parte del Comando militare Usa in Africa (Africom), “della maggioranza del personale e delle attività fuori dalla Somalia entro l’inizio del 2021”.

Il ritiro delle truppe terrestri non significherà necessariamente la conclusione dell’azione militare statunitense in Somalia, dato che questa si è basata anche su decine di attacchi aerei lanciati da basi fuori dal territorio somalo.

Resta, soprattutto, il tema dell’impunità per le numerose vittime civili di tali attacchi.

Dall’inizio della presidenza Trump, Africom ha intensificato la sua guerra aerea in Somalia, portando a termine 196 attacchi aerei sia con droni che con velivoli dotati di equipaggio. Secondo la Ong Airwars, sono ci sono stati 38 attacchi nel 2017, 48 nel 2018, 61 nel 2019 e 49 nel 2020.

Dall’aprile 2019, dopo le indagini e il lavoro di pressione da parte di Amnesty International, Africom ha ammesso di aver ucciso cinque civili somali e averne feriti altri otto in quattro diversi attacchi aerei. Tuttavia, nessuno tra familiari e vittime ha ricevuto un risarcimento dal governo statunitense o da quello somalo.

Poi, esattamente un anno dopo, Africom ha pubblicato i suoi primi rapporti trimestrali sulle vittime civili: finalmente un accenno di trasparenza in oltre 10 anni di operazioni militari condotte in Somalia.

In definitiva, a prescindere dalla presenza o meno di truppe sul campo, le organizzazioni per i diritti umani chiedono che Africom assicuri giustizia e riparazione per le vittime civili delle violazioni del diritto internazionale umanitario e i loro familiari.

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