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Società e integrazione, binomio femminile plurale

Si svolge oggi e domani a Palazzo Santa Chiara a Roma la conferenza nazionale

“L’ Italia della convivenza” promosso dalla Fondazione Nilde Iotti per presentare dati e analisi di uno studio che ha coinvolto ricercatori, intellettuali, amministratori e volontari.

Nonostante le vere emergenze – pandemie, guerre, carestie, disastri climatici –  e quella cavalcata e strumentalizzata dell’ immigrazione, il vero oggetto del dibattito pubblico oggi dovrebbe essere quello della convivenza tra soggetti diversi per cultura, religione, colore della pelle, status economico, cittadinanza; un bene comune che da sempre va di pari passo con il conflitto sociale. Un tema di certo poco appetibile dal punto di vista politico ma fondamentale perché ci coinvolge tutti come cittadini parte di una collettività: la convivenza infatti dipende da ciascuno di noi, italiani, nuovi italiani, stranieri. Da come ci rapportiamo all’ alterità, dalla nostra apertura mentale verso il mondo, dalla nostra disponibilità a mettere in dubbio convinzioni, pregiudizi, stereotipi e a capovolgere paradigmi intellettuali.
“La vera cittadinanza è quella che si apre alle differenze” scrive il sociologo Alain Touraine; d’ altronde, la società della convivenza, nonostante la scarsa dimensione pubblica, esiste già: nelle strade, nelle scuole, nelle corsie d’ ospedale, nelle chiese, nelle carceri, nell’ associazionismo.
E allora è impossibile evitare di prendere una posizione di campo, come sottolinea Livia Turco, presidente della Fondazione Nilde Iotti:
“Promuovere la convivenza è combattere con determinazione l’ idea di società che mette al centro la patria e i confini e che avalla ogni forma di disumanità, come nella tragedia di Cutro e nel caso dei decreti legge in discussione che calpestano i diritti umani fondamentali e acuiscono invece il dramma dell’ immigrazione irregolare e quindi dei naufragi nel Mediterraneo”.
Un’ intera sezione della conferenza è  dedicata alla lettura di genere del fenomeno migratorio spiegato da Maria Paola Nanni, ricercatrice del Centro Studi e Ricerche Idos e curatrice con Ginevra Demaio e Benedetto Coccia della ricerca
“Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità”:
” Occorre insegnare a declinare pratiche di rispetto, solidarietà e riconoscimento di traguardi comuni delle donne con background migratorio e donne italiane che si intrecciano nella società civile.  Prima come obiettivi individuali, poi corali, come autentico vettore di comprensione, confronto e scambio interculturale, nel segno di una vera e propria alleanza femminista transnazionale”.
La convivenza è vista infatti come il risultato di un patto tra donne, tra generazioni e tra fedi religiose, attraverso politiche pubbliche volte a garantire a tutte e a tutti i dirittifondamentali in base a una condizione di parità.
A tutti gli intervenuti alla conferenza la cooperativa sociale New Hope fa dono di una borsa in tessuto etnico cucita dalle mani di donne e ragazze migranti da tutto il mondo e salvate dalla tratta. “Non c’ è scarto che non possa fiorire” avverte il cartoncino che la accompagna: ogni manufatto racconta di un percorso di vita, di  rinascita, di riscatto attraverso il lavoro e del coraggio della speranza.
Perché l’ inclusione e la convivenza sono un percorso lungo e difficile ma anche inesorabile, realizzabile solo come consapevole atto di militanza politica e sociale.



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