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Reportage

Rwanda, l’inatteso. Dalla Capitale a Bumazi, viaggio attraverso un Paese in movimento

La sorpresa di un’esperienza che ha permesso di scoprire come il Rwanda sia rinato, a trent’anni dal Genocidio, tra sviluppo economico e una forte politica di riconciliazione e memoria.

L’articolo che segue nasce da un viaggio in Rwanda organizzato per la terza volta dal professore Jean Paul Habimana a luglio 2024 con l’obiettivo di fare conoscere il Ruanda, rinato dopo l’esperienza amara del genocidio deiTutsi nel 1994. Al viaggio hanno partecipato studenti, insegnanti e altri viaggiatori italiani.

KIGALI –  1994-2024: trent’anni esatti dall’evento che forse più di ogni altro ha messo il Rwanda sul planisfero. A trent’anni dal genocidio dei Tutsi, primo risultato di ogni motore di ricerca quando si parla di Rwanda, Kigali corre. Il centro congressi svetta sul profilo della città con la sua mole di vetro e cemento. Capitale giovanissima, in piena espansione, i cantieri sparsi tutto intorno alla città. Le possibilità di crescita non mancano. L’arrivo rovescia i preconcetti e le paure del visitatore europeo: Kigali, così come il resto del Paese, è sicura e pulita. Il VISIT RWANDA che campeggia sulle maglie di Arsenal e PSG prende corpo in nuovi campi da golf, nuove costruzioni, nuove strade illuminate che collegano il resto del Paese alla capitale. Per pagare basta un codice: con il sistema MOMO, attivato direttamente all’aeroporto con l’acquisto di una scheda SIM, si fanno acquisti e si paga il taxi in tutto il Paese.

Nell’atmosfera della capitale ci si sente lontani dalla narrazione, inesistente o distorta, del Paese e del continente. Si comincia con la lingua: con il passaggio al sistema scolastico anglofono, la numerosa nuova generazione si apre a nuove possibilità, dimenticando il francese, che per gli europei è ancora indissolubilmente legato a quell’area dal passato coloniale. I ragazzi della scuola primaria di Bumazi, nel sud-ovest del Rwanda, sono stati i migliori testimoni di questo cambiamento. E i migliori testimoni del sistema scolastico del Paese: obbligo fino ai dodici anni di età e lezioni in inglese per varie materie. La curiosità reciproca era molta, e per tre giorni ci si è potuti confrontare sulla distanza tra Italia e Rwanda vivendo un po’ di quotidianità con gli alunni.

Un presente vivace che non può però ignorare un passato doloroso e ingombrante. I trent’anni di ricostruzione hanno dovuto fare i conti con le parole chiave di riconciliazione e memoria: le etnie sono messe al bando e in molte parti del Rwanda sorgono Memoriali per non dimenticare le vittime e le dinamiche del genocidio. Quello di Kigali è senz’altro il più significativo e ricorda da vicino altri Memoriali sparsi in giro per il globo. Colpisce, conversando con i rwandesi, accorgersi che il genocidio non costituisca un tabù ma se ne parli apertamente, segno che la politica di riconciliazione passa anche per la consapevolezza. Di ogni generazione.

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