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Rwanda: due documentari per conoscere la storia del Genocidio dei Tutsi

La storia recente del Rwanda è al centro di due importanti documentari usciti negli ultimi giorni e disponibili gratuitamente sul web.
Si tratta di “Le génocide des Tutsis du Rwanda : « Tuez-les tous ! »“, di Raphaël Glucksmann, David Hazan e Pierre Mezerette, e di “Ruanda, il silenzio delle parole“, di Gaël Faye e Michael Sztanke.
Li si può vedere entrambi ai link sottostanti.

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Le génocide des Tutsis du Rwanda : « Tuez-les tous ! »

Il primo è un film di 1h40′ su YouTube, che ripercorre in maniera precisa gli eventi che hanno condotto al Genocidio dei Tutsi del 1994. Dei tre autori, il più noto è Raphaël Glucksmann, saggista e, soprattutto, deputato progressista al Parlamento Europeo, che sulla sua pagina LinkedIn presenta il lavoro con queste parole:

20 anni fa, sono andato in Rwanda con due compagni di liceo per realizzare un documentario sul genocidio dei Tutsi e sul ruolo della Francia. Ora è disponibile sul mio canale Youtube, per chi lo desidera.
Era la nostra solenne promessa di quando avevamo 15 anni.
L’abbiamo mantenuta. E quell’indagine di due anni ha cambiato la mia vita.
La bambina nella foto è nata un anno dopo il genocidio (un milione di morti).
È la figlia di Thierry, il mio fratello maggiore rwandese, l’unico sopravvissuto di una famiglia di 52 persone.
Da allora, la testimonianza di Thierry mi ha perseguitato.
Come quella di Annick, Jeanne e tanti altri sopravvissuti.
È nelle fosse comuni di Kigali, nelle paludi di Buguesera o sulle colline di Bisesero che si è forgiato il mio rapporto con il mondo.
Che ho scoperto dove poteva portare l’odio dell’Altro.
Ho anche scoperto ciò che il nostro Stato aveva fatto, il ruolo del suoi leader nell’orrore del genocidio dei Tutsi.
E in particolare un Presidente – François Mitterrand – visto come un eroe dalla sinistra, la mia “famiglia” politica.
Da qui la mia distanza da tanti dei suoi leader. Non potete capire il mio impegno nei confronti dei deportati uiguri senza saperlo. O la mia difesa delle minoranze.
Sarò sempre fedele all’uomo che sono diventato in Rwanda.
Sarà così o mi schianterò, ma non rinnegherò mai me stesso.
La lotta per la verità e la giustizia deve continuare!


(Clicca sull’immagine per accedere al filmato; all’interno vi sono scene molto crude)

Attraverso interviste esclusive ai sopravvissuti e a vari rappresentanti dei Paesi occidentali, come storici, militari e politici, questo documentario tratta della preparazione e della folle spirale del genocidio dei Tutsi, l’ultimo genocidio del XX secolo, perpetrato dall’esercito hutu e da miliziani e civili che, per tre mesi, nel 1994 massacrarono un milione di tutsi e di hutu moderati. Il film mette mostra l’indifferenza, la passività e il fallimento della comunità internazionale nel preservare la pace, nonostante gli avvertimenti e le grida di aiuto delle forze di pace delle Nazioni Unite a Kigali. Il ruolo della Francia è storicamente accertato: cooperando nei primi anni ’90 con il regime rwandese dell’allora dittatore Juvénal Habyarimana, la République si trovò coinvolta nella formazione e nell’addestramento dell’esercito e delle milizie hutu, i futuri genocidi del 1994.

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Ruanda, il silenzio delle parole

Il secondo documentario dura 51′ e si basa sull’agghiacciante testimonianza di tre donne tutsi, che accusano i soldati dell’esercito francese di stupro e violenza nei campi profughi durante il genocidio del 1994. L’opera è stata co-realizzata da Michael Sztanke e dal cantante e scrittore Gaël Faye, ed è disponibile su Arté:


(Clicca sull’immagine per accedere al filmato)

Marie-Jeanne, Concessa e Prisca sono tre donne tutsi che raccontano la loro vita quotidiana nei campi profughi di Murambi e Nyarushishi, aggiungendo che si fidavano dei militari francesi arrivati dopo tre mesi di massacri: “Ci chiamavano ‘Tutsi! Tutsi!’ Ti portavano fuori dalla tenda e facevano di te quello che volevano“. Il copione si ripete identico più volte: rapimento nelle tende, stupri di gruppo, foto scattate dai soldati. Nel 2004 e nel 2012, le tre donne hanno sporto denuncia presso i tribunali francesi, ma l’esercito rigetta ogni accusa e l’indagine è ferma su un binario morto.

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