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Rwanda, chiusi migliaia di luoghi di culto per garantire sicurezza e regolamentazione

Il governo del Rwanda ha chiuso migliaia di luoghi di culto per migliorare la sicurezza e garantire una regolamentazione più stringente delle attività religiose nel paese, proteggendo la popolazione da rischi strutturali e abusi.

Il governo del Rwanda ha recentemente chiuso quasi 10.000 luoghi di culto, citando il mancato rispetto di norme di sicurezza, igiene e regolamentazioni edilizie. La decisione, parte di un’iniziativa avviata nel 2018, mira a proteggere i cittadini dalle frodi religiose e garantire che le chiese siano ambienti sicuri. Tra i requisiti, i luoghi di culto devono avere parcheggi, attrezzature antincendio e pastori con una formazione teologica certificata. Questa misura, guidata dal presidente Paul Kagame, è stata introdotta per regolamentare l’operato delle chiese e altre organizzazioni religiose, molte delle quali erano accusate di sfruttare la credulità popolare e promuovere pratiche superstiziose.

La decisione risale addirittura al 2018, quando il governo ha reso noto che oltre 6.000 chiese erano state chiuse, principalmente nella capitale Kigali e nelle aree circostanti. La ragione ufficiale era legata al mancato rispetto di norme di sicurezza, come la stabilità delle strutture e la mancanza di servizi igienici adeguati. Tuttavia, molti osservatori ritengono che il governo abbia mirato a frenare le attività di alcune chiese indipendenti che, negli ultimi anni, erano cresciute senza controllo, attirando fedeli con promesse di guarigioni miracolose e benedizioni divine in cambio di denaro.

Il fenomeno delle chiese indipendenti è strettamente legato al contesto socioeconomico del Rwanda. Con un tasso di povertà ancora elevato e una rapida urbanizzazione, queste chiese, spesso gestite da pastori senza una formazione religiosa formale, sono fiorite offrendo aiuto spirituale e soluzioni rapide a problemi complessi, come la malattia o la povertà. In cambio, ai fedeli veniva chiesto di contribuire economicamente alle attività delle chiese, talvolta in maniera sproporzionata rispetto alle loro risorse.

Il presidente Kagame ha criticato apertamente questo fenomeno, affermando che il paese non aveva bisogno di così tanti luoghi di culto, soprattutto se gestiti in modo non responsabile. Kagame ha dichiarato che le persone stavano essenzialmente approfittando della religione per ingannare la popolazione, spesso sfruttando le loro fragilità e paure in cambio di benefici economici.

Per molti, questa politica rappresenta un tentativo di proteggere la popolazione dalle forme più estreme di superstizione e dalle false promesse di prosperità o miracoli. Tuttavia, non sono mancate critiche, soprattutto da parte di alcuni leader religiosi e sostenitori della libertà di culto, che hanno visto nella misura un’interferenza del governo negli affari spirituali. Si sono sollevate anche preoccupazioni riguardo alla libertà religiosa, con alcuni critici che hanno accusato il governo di voler controllare troppo strettamente il discorso religioso e limitare la pluralità delle fedi.

Le nuove normative impongono che i pastori abbiano una formazione teologica adeguata e che le chiese rispettino rigorosi standard edilizi e di igiene. Questo ha costretto molte piccole congregazioni a chiudere, in quanto non in grado di sostenere i costi di aggiornamento delle strutture o di fornire una formazione adeguata ai propri leader spirituali.

Nonostante le polemiche, il governo rwandese ha difeso la propria posizione, sottolineando che la misura era necessaria per garantire un contesto religioso più sicuro e responsabile. Secondo le autorità, l’obiettivo non è quello di sopprimere la libertà di culto, ma piuttosto di regolamentarla per evitare abusi e frodi che potrebbero danneggiare la popolazione, soprattutto nei contesti più vulnerabili.

Questa politica si inserisce in un contesto più ampio di controllo statale in Rwanda, dove il presidente Kagame ha consolidato il potere negli ultimi anni, promuovendo politiche di sviluppo economico e stabilità sociale, ma mantenendo un forte controllo su diversi aspetti della vita pubblica. Se da un lato il paese è stato lodato per la sua rapida crescita economica e il progresso in termini di infrastrutture e benessere, dall’altro alcuni critici hanno sollevato dubbi riguardo alla libertà di espressione e alla gestione del dissenso.

In altre parole, la chiusura dei luoghi di culto in Rwanda può essere letta come una mossa complessa e ambivalente: un tentativo di arginare lo sfruttamento della religione e di proteggere la popolazione, ma anche un esempio del crescente controllo dello Stato su aspetti fondamentali della società, inclusa la sfera religiosa.

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