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RDC: luci e ombre della Cité du Fleuve, la “Dubai tropicale” di Kinshasa

Kinshasa, “Kin la belle”

Kinshasa è la capitale della Repubblica Democratica del Congo, si trova di fronte a Brazzaville, la capitale della vicina Repubblica del Congo, che può essere vista in lontananza, al di là dell’ampio letto del fiume Congo, che separa le due città. Kinshasa è una delle tre megalopoli africane, insieme al Cairo e a Lagos; ha il più alto numero di abitanti di qualsiasi altra città del continente, con 15 milioni di residenti, ed è anche la seconda più grande città francofona del mondo, dopo Parigi. In soli cinquant’anni, la popolazione è aumentata di venti volte e, nei prossimi due decenni, si calcola che Kinshasa dovrà espandersi di 3.000 ettari solo per accogliere tutti i nuovi arrivati; un’area delle dimensioni della città di Rotterdam. Fondata nel 1881 da Henry Morton Stanley come stazione commerciale dell’impero coloniale belga, con il nome di Léopoldville, in onore del re Leopoldo II del Belgio, poi, dopo l’indipendenza del 1960, cambiato in Kinshasa nel 1966, durante la presidenza di Joseph-Désiré Mobutu. Dopo molti anni di conflitti armati esplosi negli anni Novanta, che la hanno gravemente segnata, la capitale congolese ha recentemente visto le sue infrastrutture urbane restaurate o rimesse in piedi da numerose aziende cinesi, mentre gli studi più recenti del McKinsey Global Institute prevedono che nel prossimo futuro sarà tra le 20 città più dinamiche al mondo.

Contrariamente a molte altre città africane, il cui sviluppo è condizionato dalla scarsità di risorse idriche o di terre edificabili, Kinshasa si trova sulle rive del secondo fiume più grande del continente e ha a disposizione ampi terreni per le future espansioni urbane. Attualmente, la megalopoli è tentacolare e caotica, caratteristiche che spesso portano a esserne intimiditi, tuttavia la grande capitale della RDC è anche un centro culturale e intellettuale di straordinario fermento, con una vivace comunità di artisti, in particolare di musicisti e di stilisti. D’altra parte, con i suoi tanti abitanti Kinshasa è un agglomerato di grandi diversità culturali, ossia la condizione ideale perché vi emergesse un mélange sonoro unico, un genere musicale di successo internazionale come la rumba congolese. In effetti la musica ricopre un ruolo centrale nelle dinamiche locali, perché qui assume lo status di pratica sociale condivisa, di strumento culturale chiave per il dialogo interculturale e per la coesione delle tante anime della città.

Alimentando la sua creatività, Kinshasa è progressivamente diventata una capitale sempre più attrattiva; è “Kin la belle”, come recita un brano di successo del rapper Damso, quindi in espansione demografica, finanziaria e immobiliare. Il caso più eclatante di nuova urbanizzazione è la “Cité du Fleuve”, un quartiere realizzato su alcuni banchi di sabbia del fiume Congo, ma prima di descriverlo, diamo uno sguardo a questa particolare forma di inurbamento, presente da decenni in varie zone del mondo.

 

Quartieri blindati e città galleggianti

Negli ultimi cinquant’anni, a cavallo tra Novecento e Duemila, nelle principali città del Nord America e poi del resto della Terra, specie in Sud America e Sud Africa, sono andate sviluppandosi le cosiddette “gated community”, ossia delle aree residenziali recintate, sorvegliate giorno e notte da guardie e telecamere, in cui risiede la minoranza più ricca. Questi “quartieri blindati” sono vere e proprie città nella città in cui vigono regole proprie, e dove gli estranei prima di entrare devono identificarsi e specificare il motivo della visita. Sono quartieri suburbani in cui vige la logica della segregazione, di reddito e di fascia sociale, ricercata da chi cerca sicurezza e comodità o, ribaltando il linguaggio, da chi scappa da pericoli e disagio, non di rado anche immaginari. Si tratta di luoghi che, per certi versi, recuperano l’idea della città fortificata o del castello, ovviamente con tutta la loro retorica.

La variante più recente di questo modello urbanistico-sociale è quella delle “floating cities”, delle “città galleggianti”, ormai presenti o progettate in varie metropoli del pianeta: da New York a Dubai, da Lagos ad Amsterdam. Ne esistono di innumerevoli tipologie: nella Grande Mela è stato realizzato “Little Island”, un giardino sospeso sul fiume Hudson all’altezza del Pier 55, a Manhattan, grazie a una piattaforma sostenuta da 300 colonne di cemento a forma di fungo; a Lagos, in Nigeria, è in fase di completamento “Chicoco Radio”, un ponte sospeso tra mare e terra, destinato agli abitanti di Port Harcourt che, così, avranno a disposizione uno spazio multimediale in cui trovare studi radiofonici e di registrazione, sale riunioni e cinematografiche, teatro e spazi con computer; in Cina, al largo di Macao, la società AT Design ha immaginato la più imponente isola galleggiante abitata del mondo che, se vedrà la luce, potrà essere considerata come un prototipo di città avveniristica, fatta di moduli prefabbricati fluttuanti, tunnel sottomarini e ristoranti, parchi a tema e alberghi con vista sotto il mare, con tutto il suo portato di fantasia e inquietudine. È la medesima concezione seguita a Dubai, negli Emirati Arabi, dove è sorta la celebre “The Palm” ed è in via di completamento “The World”, due agglomerati di isole artificiali extra-lusso destinate a magnati di tutto il mondo. Nel 2025 davanti alla costa del Principato di Monaco verrà inaugurato “l’Anse du Portier”, un “ecoquartiere” di 6 ettari costruito su una terra sottratta al mare: un’operazione tecnicamente avanzatissima e lavorativamente proficua, che tuttavia è un esempio perfetto della urbanizzazione del capitale di cui parlano David Harvey e altri studiosi, una zona residenziale esclusiva accessibile a pochissimi.

Qualcosa di simile è in atto da oltre dieci anni a Kinshasa, nel letto dell’imponente fiume Congo, sebbene negli ultimi mesi siano sorte numerose titubanze, critiche e opposizioni al progetto.

 

La Cité du Fleuve

In giro per la metropoli, i cartelloni pubblicitari dei cantieri di centri congressi, hotel a cinque stelle, grattacieli e nuovi quartieri, promettono di portare “modernizzazione” e “un nouveau niveaude vie à Kin” (un nuovo standard di vita a Kinshasa). Il progetto più ambizioso è certamente quello della Città del Fiume, una vera e propria città satellite della capitale congolese, posta a nord-est del centro, su due isole artificiali del grande fiume, immaginata nel 2008 e la cui costruzione è cominciata nel 2009, prima con la bonifica di banchi di sabbia e paludi, poi con l’avvio dell’edificazione. Secondo i promotori, larea diverrà “la vetrina della nuova era dello sviluppo economico africano” e fornirà “uno standard di vita ineguagliato a Kinshasa”; sarà dunque un modello per il resto del continente, prevedendo edifici residenziali,parcheggi e strade asfaltate, nonché centri commerciali, uffici e strutture per conferenze, il tutto con un’autonomia idrica ed energetica garantita da una produzione indipendente. L’ambizione è rendere la Cité du Fleuve il luogo di residenza stabile per almeno 250.000 persone, così da raggiungere anche lo status amministrativo di un nuovo comune, soggetto ad un proprio regime speciale.

La principale delle due isole della Cité du Fleuve è collegata alla terra ferma con due lunghe strade che conducono da un lato a Gombe, l’attuale centro cittadino, e, dall’altro, all’aeroporto internazionale di Ndjili, scavalcando immense distese urbane povere e marginali. La portata di questa nuova urbanizzazione è tale che potenzialmente potrebbe ridisegnare in modo radicale le geografie di inclusione ed esclusione dell’intera megalopoli perché, riecheggiando i modelli segregazionisti di “ville e cité”, molto efficaci durante la colonizzazione belga, è chiaro che le isole diventeranno la nuova “ville mentre il resto di Kinshasasarà ridefinito come periferia, secondo un processo di favelizzazione comune a tante metropoli del mondo, cresciute in modo dirompente e irregolare negli ultimi decenni.

Inizialmente, i costi di costruzione erano stati stimati in un miliardo di dollari USA ma, secondo alcune fonti, sarebbero lievitati a “diversi miliardi”, gestiti da Hawkwood Properties, un fondo finanziario britannico, il cui azionista di maggioranza è Mukwa Investment. Questa è una società di investimento con sede a Lusaka, Zambia, rappresentata in RDC da Robert Choudury, un uomo d’affari franco-libanese che attualmente si sta adoperando per aprire sull’isola un’agenzia della Real Estate Bank of the River, così da invogliare la nascente classe media congolese ad acquistare una casa a credito grazie ai prestiti concessi dalla banca.

Il progetto è particolarmente popolare tra gli emigrati congolesi in Europa e negli Stati Uniti che intendono rientrare nel Paese, ora che leconomia sta crescendo e dando fiducia. Soprattutto, è necessario guardare la tendenza: nel prossimo decennio, la popolazione di Kinshasa dovrebbe ulteriormente aumentare della metà, per cui, proprio per accogliere i nuovi arrivati, la città dovrà espandersi molto e la Cité du Fleuve, l’unico posto in cui è possibile vivere vicino al fiume e in cui sono disponibili case spaziose e con tutti i confort, risponde perfettamente a tale esigenza.

 

Un sogno svanito?

La prima fase di costruzione della Città del Fiume è stata completata nel 2016, quando sono stati consegnati i primi edifici, ma successivamente l’area è stata ulteriormente estesa a est e a sud, ampliando notevolmente l’area edificabile, almeno fino al 2019, quando un allagamento ha sollevato dubbi sul progetto della città satellite, e si è discusso di un trasferimento. Nel 2020, inoltre, ci sono stati molti rallentamenti in termini di logistica e forniture, per cui il progetto risulta in ritardo su vari obiettivi. Attualmente conta più di 400 unità abitative con circa 3.000 abitanti, tuttavia il piano sembra aver perso l’aura iniziale, perché negli ultimi mesi – e per la prima volta in oltre un decennio – si sono levate voci critiche ed è cresciuto il numero di danni, la cui origine è spesso ancora ignota.

Il 3 ottobre 2020, ad esempio, c’è stato un incendio nella casa dell’attuale ministro congolese dell’urbanistica e dell’edilizia abitativa, Pius Muabilu, situata sulla Cité du Fleuve. Si tratta di un episodio grave in sé, ma che è diventato inquietante una settimanadopo, quando nella casa del politico è divampato un altro incendio. Muabilu ha affermato che le fiamme si sono accese a causa delle scintille dovute a varie interruzioni di corrente, ma l’amministratore del sito, Robert Choudury, ha invitato alla cautela, rimandando ogni commento al termine delle indagini. Al contempo, però, ha sottolineato che ciascun proprietario sull’isola ha l’obbligo legale di sottoscrivere un’assicurazione, sebbene “quasi la metà dei residenti non paghi la propria quota”. Nei mesi, i rapporti tra Muabilu e Choudury si sono progressivamente deteriorati, fino all’annuncio del 21 aprile 2021, da parte del fondo immobiliare, di avere l’intenzione di denunciare il ministro e il presidente dell’associazione dei proprietari, Serge Kasanda, per aver infamato il sito (“a fini speculativi”) sulla stampa internazionale. Infatti, due giorni prima, il 19 aprile, “Le Monde”, il principale giornale francese, ha pubblicato un lungo articolo intitolato “La Cité du fleuve, il sogno immobiliare di un’élite che fa acqua a Kinshasa”, in cui Kasanda denuncia ritardi nella consegna e una diminuzione del valore degli immobili, nonché l’acqua insalubre e problemi nello smaltimento dei rifiuti.

La notizia è stata ripresa il 20 aprile da “Euronews”, il canale televisivo giornalistico dell’Unione europea, con un’ulteriore intervista a Kasanda e immagini di infiltrazioni e muffa negli appartamenti. Successivamente, il 24 aprile, anche il canale all-news francese BFMTV ha dedicato un servizio al fallimentodella Cité du Fleuve, riferendo di inondazioni nel dicembre 2020 e degrado generalizzato lungo le strade, aumentando ulteriormente la disapprovazione della proprietà.

Quello che alcuni anni fa sembrava essere un progetto che inorgogliva i congolesi, sebbene la stragrande maggioranza di loro non avrebbe mai potuto accedervi, perché creava un sogno collettivo verso cui tendere, ora produce scetticismo e critiche. Sebbene ancora timide ed episodiche, le opinioni avverse provengono soprattutto dai contadini della zona, le cui terre, bonificate negli anni, ora sono minacciate dal progettoimmobiliare, o dai pescatori, le cui barche si arenano tra liquami e rifiuti. Quella che doveva essere “la piccola Dubai di Kinshasa, adesso mostra soprattutto le sue ombre, quelle di un’urbanizzazione globale che, al di là delle intenzioni e delle scintillanti proiezioni su rendering e modellini, produce segregazione e baraccopoli, come quella di “Big World”, uno slum del sobborgo di Kingabwa, adiacente alla Cité du Fleuve, noto per il suo isolamento e per la sua insalubrità, un agglomerato di precarietà e vulnerabilità in cui frequentemente esplodono crisi sanitarie, dovute allacqua inquinata da rifiuti gettati nella valle in cui scorre il maestoso fiume Congo.

 

 

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