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Rd Congo: storia di Dodo, ucciso per la sua passione civile a 22 anni

Aveva appena terminato gli studi e stava muovendo i suoi primi passi nel mondo del lavoro, Mumbere Ushindi. Lo chiamavano Dodo, ed è stato ucciso lunedì scorso mentre partecipava ad una manifestazione nella città di Beni, Nord Kivu, nell’Est della Repubblica democratica del Congo.

Aveva ventidue anni ed era un militante del movimento di cittadini la Lucha, Lutte pur le Changement, che da quasi un anno si oppone allo Stato d’assedio, deciso del governo di Kinshasa per fermare la guerra che sta devastando le province al confine con l’Uganda ed il Ruanda. Da quando le autorità civili sono state sostituite da quelle militari, però, la violenza non ha mai accennato una tregua.

“E’ morto in ospedale a seguito delle ferite riportate poco tempo dopo che membri delle forze armate e della polizia … lo avevano colpito con un colpo di arma da fuoco al ventre”, si legge in nota diffusa da la Lucha. Chiedono giustizia, i militanti: “Se l’identità di chi ha ucciso il nostro compagno non è nota, le unità schierate sul campo sono ben identificate cosi come i comandati che hanno dato l’ordine di uccidere o torturare chiunque avesse risposto all’appello di cinque giorni di ville-morte lanciate dal nostro movimento e da altri gruppi”, prosegue la nota.

Un caso non isolato e fortemente condannato dall’Ufficio congiunto delle Nazioni Unite per i diritti umani in RDC che invita le autorità giudiziarie ad aprire una inchiesta, e che parla di “uso ingiustificato e sproporzionato della forza letale da parte degli agenti della polizia in una manifestazione pacifica”. Lo stesso ufficio, nell’ultimo dei suoi rapporti mensili, quello di novembre, aveva documentato un aumento impressionante nelle violazioni dei diritti fondamentali, l’84% in più rispetto al mese precedente, in buona parte dovute alla violenza dei gruppi armati, ma con una crescita del 43%  di quelle commesse da agenti dello Stato, la maggior parte delle quali nelle regioni in conflitto, tra cui lo stupro di venti donne. Tante anche le violazioni contro la libertà di opinione ed espressione. “Inoltre, i soldati delle Forze armate della Repubblica Democratica del Congo (FARDC)”, spiega il rapporto, “hanno commesso numerose violazioni nel contesto dello stato d’assedio”. Quello stato d’assedio contro il quale le proteste di susseguono orami da mesi.

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