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Diritti umani

Periodo nero per la libertà di stampa nell’Africa orientale e meridionale

In occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa, Amnesty International e il Media Institute of Southern Africa hanno denunciato che gli attacchi ai giornalisti sono in aumento in molti stati dell’Africa orientale e meridionale. In Etiopia, nel contesto della guerra tra le forze centrali e i gruppi armati tigrini che ha attraversato tutto…

In occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa, Amnesty International e il Media Institute of Southern Africa hanno denunciato che gli attacchi ai giornalisti sono in aumento in molti stati dell’Africa orientale e meridionale.

In Etiopia, nel contesto della guerra tra le forze centrali e i gruppi armati tigrini che ha attraversato tutto il 2022, le autorità di Addis Abeba hanno arrestato 29 giornalisti, quelle del Tigray cinque. 

Nella Repubblica Democratica del Congo, al posto numero 149 su 180 nell’ultimo Press Index Freedom, lo scorso anno ci sono stati 124 attacchi contro i giornalisti, uno dei quali con esito mortale. Altri 37 operatori dell’informazione sono finiti agli arresti. 

Minacce e intimidazioni sono all’ordine del giorno, in Mozambico, nei confronti dei giornalisti che criticano l’operato del governo. Lo stesso accade in Ruanda, dove a gennaio John Williams Ntwali – uno dei più noti giornalisti del paese – è stato ucciso in quello che le autorità hanno liquidato come un incidente automobilistico senza che venissero svolte indagini credibili. 

La Somalia è uno degli stati più pericolosi al mondo per i giornalisti tra agguati, intimidazioni, arresti e pestaggi. Lo scorso anno ne sono stati feriti nove. A ottobre il ministero dell’Informazione ha emanato una direttiva che vieta “ai media tradizionali e ai social media la diffusione di ideologie estremiste”: il segretario generale dell’Ordine dei giornalisti, Abdalla Mumin, che aveva criticato il provvedimento, è stato condannato a due mesi di carcere ed è tornato in libertà alla fine di marzo. 

In Tanzania, i giornalisti che seguono le proteste dei masai contro i tentativi di sgomberarli dalle loro terre finiscono nelle maglie repressive dell’Autorità sulle telecomunicazioni. Nello Zimbabwe un altro provvedimento repressivo, la Legge sui reati informativi, ha prodotto i primi arresti, uno persino per un articolo su una squadra di calcio. 

La condanna più lunga emessa negli ultimi tempi nei confronti di operatori dell’informazione africani, 10 anni di carcere, è quella inflitta in Burundi, il 2 gennaio, a Floriane Irangabiye, giudicata colpevole dell’inesistente reato di “minaccia all’integrità del territorio nazionale”. 

 

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