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Patrick Zaki, quel grido d’aiuto dal carcere di Tora che interpella il ministro Di Maio

“Sono esausto fisicamente e mentalmente, non posso continuare qui ancora a lungo, e mi sento depresso ogni volta che succede un importante evento nell’anno scolastico mentre sono qui invece di stare con i miei amici a Bologna. Raramente esco dalla mia cella durante il tempo concesso, perché non riesco a capire perché sono qui e non voglio affrontare il fatto che esco per camminare avanti e indietro nel giro di pochi metri, solo per chiudere di nuovo in una cella di pochi metri”.
Le parole che, sabato 19 dicembre, Patrick Zaki ha affidato alla madre sono molto allarmanti. Se, nelle precedenti occasioni, lo studente egiziano dell’università di Bologna aveva alternato rimpianto e nostalgia alla speranza, quest’ultima ora pare svanita. Patrick soffre fisicamente a causa di condizioni detentive crudeli e inumane e soffre mentalmente per l’assenza di prospettive riguardo alla sua vicenda giudiziaria, per l’impossibilità di prendere parte al secondo anno del Master bolognese e la per la quasi certezza di non poter passare le festività del Natale copto con la sua famiglia.
Oggi, dopo 10 mesi e 13 giorni di detenzione arbitraria e illegale, è stato superato un crinale pericoloso che chiama tutti a fare il massimo per ottenere la scarcerazione di Patrick prima che sia troppo tardi. Pochi giorni fa, il ministro degli Esteri Di Maio ha dichiarato l’impegno a riportarlo alla sua famiglia al più presto. Abbiamo fiducia che a queste parole seguano i fatti. Quel grido d’aiuto uscito dalla prigione di Tora li reclama e li pretende.
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