Potentissima. Potentissime. In Afghanistan forse non hanno potuto vederla, ma il messaggio è stato chiaro. Quando Kimia Yousofi ha terminato in 13”42 i 100 metri del turno preliminare sulla pista olimpica, ha tolto il pettorale e ha mostrato la scritta in favore di telecamera “Educazione, Sport, I nostri diritti”.
“Education” in nero, “Sport” in verde, “Our rights” in rosso ovvero i colori della bandiera afghana.
I talebani hanno vietato la trasmissione in Afghanistan delle gare femminili, perché ritenute “scandalose e immorali”; nel paese, infatti, le donne non possono praticare sport, partecipare a competizioni e persino accedere alle palestre. Il portavoce del governo talebano per lo sport, Atal Mashwani, ha riconosciuto la presenza soltanto di tre atleti uomini, non delle tre atlete donne che sono in gara alle Olimpiadi di Parigi, sebbene questo vada contro i principi della Carta Olimpica sulle discriminazioni di genere. Gli atleti maschi partecipano alle gare di nuoto, judo, atletica, mentre le donne, che si sono cimentate nell’atletica e nel ciclismo, per il regime non esistono, non devono avere alcun riconoscimento e alcuna visibilità.
Per potersi allenare e partecipare ai Giochi Olimpici, le atlete hanno dovuto abbandonare il loro paese, ma, nonostante tutto, hanno scelto di rappresentarlo, gareggiano per l’Afghanistan, non per la Squadra Olimpica dei Rifugiati, come avrebbero potuto fare senza andare incontro a ulteriori problemi.
Kimia Yousofi è alla sua terza Olimpiade nei round preliminari. E’ stata portabandiera alle Olimpiadi di Tokyo 2020, che si sono svolte nel 2021 a causa della pandemia, ma ad una settimana dal suo rientro in Afghanistan, l’arrivo dei Talebani l’ha costretta a riparare prima in Iran e poi in Australia, dove vive come rifugiata dal 2022 grazie all’aiuto del Comitato Olimpico Internazionale.
Oltre alla Yousofi, sono in gara per il ciclismo femminile le sorelle Hashimi, Yulduz e Fariba.
Dopo aver lasciato l’Afghanistan nel 2021,sono ora assistite dall’associazione Road to Equality, tramite l’ex campionessa del mondo Alessandra Cappellotto, direttrice del CPA Women, ma nonostante tutto hanno scelto di gareggiare per il proprio martoriato paese, per dare un segnale forte a tutte le donne che in questo momento si vedono negare i diritti più basilari: “Vogliamo rappresentare l’Afghanistan perché le cose devono cambiare”.
Di certo la medaglia per il coraggio l’hanno già vinta. La famiglia Hashimi ha già cambiato casa per la quarta volta, l’ultima proprio in questi giorni, dopo che il fratello minore è stato accoltellato. “Questo è per le tue sorelle” gli hanno intimato. Non è facile scegliere di supportare la libertà nel momento in cui alle donne è negato qualsiasi diritto, persino quello di gareggiare e rendere lustro al proprio paese. Le atlete hanno dichiarato di avere ricevuto un grande sostegno in questi giorni anche dai loro colleghi maschi, che, seppure in maniera minore, subiscono comunque anche loro forti restrizioni alla propria libertà.
“Ho un messaggio per le ragazze afghane. Non mollate. Non lasciate che siano altri a decidere per voi, Cercate le vostre opportunità e poi usatele” ha detto con coraggio la Yousofi a tutte le donne che vedono i loro diritti calpestati ogni giorno. Queste donne rischiano la vita opponendosi in ogni modo alle restrizioni del regime, che le vuole recluse in casa, silenziose e annientate. Meritano tutta la nostra solidarietà e quella della comunità internazionale nella loro lotta. Zan, Zendeghì, Azadi.