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Editoriali

Non chiamiamola “festa della donna” ma rinnoviamo impegno per i diritti

Non chiamiamola più Festa della donna. L’8 marzo non è una giornata diverse dalle altre. Neanche per le donne: che vanno a lavorare come gli uomini, che preparano la colazione, il pranzo e la cena come tutti gli altri giorni, e che si occupano dei figli esattamente come avviene negli altri 364 giorni dell’anno. Dalle…

Non chiamiamola più Festa della donna. L’8 marzo non è una giornata diverse dalle altre. Neanche per le donne: che vanno a lavorare come gli uomini, che preparano la colazione, il pranzo e la cena come tutti gli altri giorni, e che si occupano dei figli esattamente come avviene negli altri 364 giorni dell’anno.
Dalle suffragette del 1903 (e la nascita del primo movimento politico femminista) ad oggi, molte cose sono cambiate ma tanto resta da fare.
I media oggi si riempiranno, come ogni anno, di articoli commemorativi, commenti sulla condizione femminile, interviste a sociologi e ad esperti osservatori dei cambiamenti di costume. Il tutto per celebrare una festa che festa davvero non potrà essere fino a quando nel mondo anche una sola donna continuerà a subire vessazioni per il solo fatto di essere nata senza gli attributi maschili.
L’elenco dei soprusi planetari nei confronti delle donne, a cominciare da quelle africane di cui ci racconta la nostra Ketty Volpe nella sua cruda ma necessaria analisi, è così lungo e repellente che si fa fatica a scriverlo. Pur volendo per un momento lasciare da parte le torture e gli obblighi imposti da religioni e culture lontane da quelle occidentali, penso a riti sadici come l’infibulazione oppure ai divieti di mostrare il volto in pubblico o di uscire sole per le quali occorrerebbero riflessioni ben diverse, anche nella nostra “evoluta” società le donne continuano a essere oggetto di assurde prevaricazioni.
Dalle violenze fisiche, che troppo spesso culminano nei tristemente noti “femminicidi” a quelle psicologiche, che fin da bambine privano le donne di autostima e le educano a sentirsi inferiori, incapaci e perennemente bisognose dell’aiuto di una figura maschile (salvo nelle faccende di casa ovviamente), fino alle più o meno evidenti disparità nei luoghi di lavoro, la lista che compone la cosiddetta “questione femminile” è lunga.
L’8 marzo non è una festa. È l’International Women Day che ricorda come le donne vengano ancora discriminate, picchiate, violentate, uccise, infibulate e sottoposte a tante altre violazioni di diritti a seconda dei luoghi in cui vivono.
Nulla da celebrare. Tanto su cui riflettere, per poi agire.

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