“C’è un’inchiesta in corso, ci fidiamo della magistratura italiana ma bisogna che i governi e chi può contribuire alla verità si impegni fino in fondo per assicurarci piena giustizia per due servitori dello stato, mio marito nel corpo diplomatico e Vittorio Iacovacci nell’arma dei carabinieri, e per Mustapha Milambo, che rappresenta ogni congolese”.
Così Zakia Seddiki, moglie dell’ambasciatore Luca Attanasio, assassinato il 22 febbraio nella Repubblica democratica del Congo insieme al carabiniere che gli faceva da scorta e all’autista del World food program, Milambo, parla per la prima volta dell’inchiedta sull ’attentato che le ha portato via suo marito, il padre delle sue tre bambine.
A otto mesi dall’agguato molte domande restavo senza risposte. Perché?
“Sì, ci sono tante domande aperte per le quali attendiamo risposta ma tocca agli esperti trovarle. Ad esempio. Che fine ha fatto il terzo italiano che era nella macchina su cui viaggiava Luca? Qualcuno ha nascosto volutamente che non c’era la scorta al convoglio? Un solo elemento è certo al momento: non rispettare la sicurezza per un ambasciatore è stata una mancanza di rispetto per la nostra bandiera. Sono fiduciosa che l’italia farà di tutto per il raggiungimento della giustizia. E per ora è ciò che personalmente mi infonde pazienza. Spero che i testimoni abbiano detto tutto quello che sapevano”.
Ma crede che l’Onu, il Pam, stiano tacendo qualcosa?
“Su questo non mi esprimo ma l’inchiesta non può fermarsi al solo nome iscritto nel registro degli indagati. Io credo nell’impegno dell’Italia: un paese che lotta per la pace non potrà mai accertare di non avere giustizia per due figli persi in un modo tanto atroce. Come me e le mie bambine”.
Ci sono state illazioni su possibili interferenze che potrebbero aver indispettito qualcuno in Congo. C’è qualcosa di vero?
“No. Mio marito non faceva indagini sulla gestione delle miniere ma da ambasciatore si interessava alla questione perché conosceva i volontari, i cooperanti che aiutano i bambini che vengono sfruttati nel lavoro minorile. Luca cercava di aiutare quei programmi di assistenza e di recupero dei minori. Noi stessi, con Mama Sofia, abbiamo sostenuto progetti in Congo per i bambini di strada che andranno avanti grazie ad alcune suore italiane e a un’ex collaboratrice dell’ambasciata a Kinshasa”.
Focus in Africa porta avanti dal primo momento un’inchiesta giornalista per accertare la verità su quanto avvenuto e ha lanciato la campagna #veritaoerlucavittorioustapha. Avremo mai le risposte che oggi mancano?
”Innanzitutto voglio ringraziare Focus on Africa e tutti coloro che mi sono stati vicini. È importante tenere alta l’attenzione, ricordare Luca. Ho fiducia nella magistratura ma resto vigile. Non mi fermerò mai fiko a quando non avremo piena giustizia”.
Nota dell’autrice
A conclusione di questa intervista tengo a ribadire , come Zakia,, che credo fermamente che qualcuno non abbia protetto Luca, che il protocollo della sicurezza (quello di prassi per le missioni internazionali) non fosse stato rispettato.
Quel convoglio che stava percorrendo le strade più pericolose del Nord Kivu non aveva copertura militare di alcun genere.
È giusto lasciare che i magistrati facciano il proprio lavoro, ma finora gli elementi raccolti non sembrano sufficienti a chiarire le responsabilità di quanto è accaduto.
Inoltre alcune figure sono rimaste nell’ombra. A cominciare dal vicedirettore del Programma alimentare mondiale Rocco Leone, che viaggiava insieme a Luca Attanasio, Vittorio Iacovacci sull’auto guidata da Mustapha Milambo.
Misteri e omissioni che abbiamo svelato con la nostra inchiesta di questi mesi.
Noi, come Zakia, non ci accontenteremo mai di una verità di comodo, ma solo di giustizia piena per Luca, Vittorio e Mustapha.
Per sottoscrivere la campagna #veritaperlucavittorioemistapha inviare una mail a redazione@focusonafrica.info.
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