Amnesty International ha denunciato per l’ennesima volta l’impunità radicata per le morti in custodia e altre gravi violazioni dei diritti umani da parte dei gruppi armati sotto il comando delle autoproclamate Forze armate arabe libiche (Faal), agli ordini del generale Haftar nell’est del paese, che ha permesso all’Agenzia per la sicurezza interna (Asi) di intensificare, negli ultimi mesi, la sua repressione nei confronti di critici e oppositori politici, tra cui attivisti, scrittori e blogger.
Tra aprile e luglio due persone sono morte in custodia in circostanze sospette mentre si trovavano in centri di detenzione controllati dall’Asi a Bengasi e Ajdabiya. Non sono state avviate indagini penali indipendenti e imparziali sui loro decessi e nessuno è stato ritenuto responsabile.
Il 13 luglio Ahmed Abdel Moneim Al-Zawi, 44 anni, è morto mentre si trovava in un centro di detenzione dell’Asi ad Ajdabiya. Era stato arrestato arbitrariamente il 10 luglio mentre era in visita, presso lo stesso centro di detenzione, di suo fratello Abdrabo Abdel Moneim Al-Zawi, in carcere per aver criticato l’Asi. Quest’ultima ha dichiarato che Ahmed Abdel Moneim Al-Zawi si era suicidato impiccandosi, ma alcuni testimoni hanno riferito di aver visto un livido sulla nuca del detenuto, che sembrava essere stato causato da un forte colpo.
Tre giorni dopo, Sheikh Al-Sanussi Al-Haliq Al-Zawi, vicepresidente del Consiglio supremo degli anziani e dei notabili della Libia e capo della tribù di Ahmed Abdel Moneim Al-Zawi, è comparso in un video dicendo: “Nostro figlio Ahmed è entrato lì con le sue gambe ed è tornato da noi come un cadavere”.
Un procuratore di Bengasi ha archiviato il caso senza avviare alcuna indagine e nel rapporto forense non viene menzionata alcuna lesione alla testa.
Siraj Dughman, un analista politico, è morto il 19 aprile mentre si trovava sotto custodia dell’Asi. Le Faal non hanno mai risposto alle richieste della comunità internazionale e della società civile libica di avviare un’indagine sulle circostanze della sua morte. Il giorno dopo il decesso l’Asi ha dichiarato che l’uomo era caduto durante un tentativo di fuga. Alla famiglia non è stato permesso di vedere il corpo e non è stato condiviso alcun resoconto sull’autopsia. Amnesty International ha appreso che il certificato di morte riportava come causa del decesso “una caduta da un luogo elevato”.
L’anno era iniziato con una serie di arresti arbitrari.
L’attivista e blogger arbitrariamente detenuta Maryam Mansour Al-Warfalli, conosciuta come “Nakhla Fezzan“, è stata arrestata dall’Asi a Sabha il 13 gennaio, dopo aver criticato il modo in cui le Faal avevano supervisionato la distribuzione del gas da cucina nel sud della Libia. Maryam Mansour Al-Warfalli è stata per anni una voce critica nei confronti della cattiva gestione del sud del paese.
Secondo un parente, da quando è stata imprigionata nella sede dell’Asi a Bengasi, a Maryam Mansour Al-Warfalli è stato negato qualsiasi contatto con la famiglia. È stata visitata da uno psichiatra, che il 2 maggio ha richiesto il suo ricovero all’ospedale di Bengasi, dove è rimasta solo per pochi giorni prima di essere riportata in prigione.
Il 4 febbraio alcuni gruppi armati alleati delle Faal hanno arrestato e fatto sparire forzatamente Sufi Sheikh Muftah Al-Amin Al-Biju, 78 anni, dopo un’irruzione di circa 20 uomini nella sua casa a Bengasi. Secondo un parente, è stato preso di mira solo per aver esercitato il suo diritto alla libertà di religione e credo, nel contesto della persecuzione da parte dell’Asi nei confronti dei sufi, che non aderiscono all’ideologia salafita madkhalita, a cui l’Asi stessa si ispira. Lo stesso parente ha saputo da fonti non ufficiali che la salute di Sufi Sheikh Muftah Al-Amin Al-Biju nel carcere di Qarnada, controllato in parte dall’Asi, sta peggiorando. Soffre, infatti, di diabete e il suo sistema immunitario è indebolito dalle cure per il cancro. Nessuno dei gruppi armati vicini alle Faal ha permesso alla famiglia di fargli visita e di ottenere informazioni circa il luogo della sua detenzione.