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Migranti, vi racconto come nasce il “lenzuoloSOSpeso” delle “Madri di frontiera”

Oggi alle ore 19, nella piazza della solidarietà a Trieste, metteremo al mondo il “lenzuoloSOSpeso” nr 129.
Sará una nascita importante.
Si chiamerà “Madri di frontiera”
grazie a Silvia Capiluppi (ideatrice e progettista) e a tutte le madri, donne, sorelle che mi hanno ispirato e che sono le mie maestre.

Dopo il primo manifesto per un “ponte di corpi”, il carrettino verde della cura chiama all’appello le “madri di frontiera” per ricamare il nome dei figli perduti lungo la rotta balcanica.
Lo fa partire da un lenzuolo: il lenzuoloSOSpeso che nasce nella notte del 14 febbraio 2018 e trae origine da un progetto di Silvia Capiluppi.
Perché un lenzuolo?
Viviamo in un tempo storico radicalmente nuovo. Nel significato letterale: le radici della vita sono avvelenate dal sistema di governo del mondo intero che ha molte facce, ma tutte uguali nel culto unico della merce e del denaro.
Oggi siamo costretti a percepire, nostro malgrado, che la vita è un’unità, in cui ciascun vivente è legato a tutti gli altri. Ce lo dicono gli effetti visibili di ogni tipo del disprezzo radicale della vita che caratterizza la Cultura del mercato che domina il mondo.
Dobbiamo essere pienamente consapevoli che viviamo in una Cultura che ha innescato un processo verso la morte.
Si tratta di cominciare ad invertirlo.
Non c’è un modo unico per agire lottando-costruendo, costruendo-lottando. L’importante è convergere in modi differenti, per diverse strade, verso uno scopo unico.
È fondamentale mettere in azione diverse sensibilità, competenze, emozioni, senza ridurle o schiacciarle dentro una etichetta.
Occorre una molteplicità convergente, come la vita.
Uno di questi modi è la competenza a stare-insieme, ad essere-insieme, a creare collettività.
Un’antica pratica femminile dentro la tragedia del tempo che è il nostro.
Un gesto che rimanda a un’attività espressiva, come il ricamo, ma considerata subalterna, come è stata – e in gran parte è ancora – la condizione della donna.
L’inferiorità della donna è collegata al suo corpo generativo, messo al servizio del potere patriarcale.
La ribellione femminile può usare l’esperienza generativa della cura per insegnare qualcosa a tutti su come stare-insieme: qualcosa che è mancato, ad esempio, alla sinistra radicale, qualcosa di fondamentale per superare il radicato individualismo di mercato.
Ma è un gesto che si collega al tema terribile dei desaparecidos.
“Desaparecidos” rimanda al paradossale rifiuto della morte delle Madres de Plaza del Majo, a Buenos Aires, al loro grido ‘aparicion con vida’, dove si tratta del recupero, con un gesto politico trasformativo, del lascito degli scomparsi ad opera della dittatura.
Oggi la tragedia dei desaparecidos tocca il grande, fondamentale movimento migratorio, che percorre il mondo dall’Africa, dal Medioriente, dall’Asia, dal Sudamerica.
Scrivere sul lenzuolo i nomi dei migranti scomparsi è un appello a raccogliersi per stare insieme nel ricordo di chi è scomparso per la violenza dei confini, degli Stati, del nostro modo di vivere. Significa dedicare collettivamente del tempo di vita a queste persone, che – bisogna dirlo – sono cadute per noi, perché il migrante, oggi, ben al di là della sua consapevolezza, grida l’invivibilità della terra.
Questo movimento migratorio è l’annuncio della rottura in atto ormai irreversibile dell’equilibrio sui cui per decine di migliaia di anni si è retta la vita, fra cui quella umana, rottura di cui il clima torrido che stiamo subendo, insieme a un profondo degrado sociale, è il segno inequivocabile.
Di fronte a ciò che non si può non chiamare tragedia, il gesto lieve del ricamo in un luogo significativo, come può essere la piazza del Mondo, la piazza dei migranti, ha un senso: è un invito allo stare insieme alternativo, evocando il gesto antico della lievità, della grazia, della cura dei vivi e dei morti.
Ogni giorno nella piazza del mondo a Trieste curiamo le persone migranti che giungono dalla terribile rotta balcanica. Incontriamo corpi di dolore, corpi offesi, denutriti, assetati, affamati, ricoperti di terra, fango, sudore, ferite, vesciche. Chi arriva è un sopravvissuto. Di tanti altri non conosciamo il destino cui sono andati incontro attraversando le montagne ripide e scoscese della Croazia, della Slovenia, del Carso, i suoi fiumi vorticosi, i boschi selvaggi. Sappiamo che molti sono morti cadendo in una buca di dolina, o annegando in un corso d’acqua mentre cercavano di scappare dalla polizia che li inseguiva, o impallinati come cervi, oppure semplicemente scomparsi senza lasciare traccia senon nel disperato appello di madri, figli, fratelli, sorelle che li cercano invano.
Ricamare i nomi di questi figli perduti è tessere un legame con madri di altri mondi che simbolicamente hanno consegnato a noi la memoria e la custodia di un figlio che, in molti casi, non potranno neppure seppellire.
Il lenzuolo bianco sarà la trama su cui raccontare la storia di questa migrazione, il filo rosso simboleggerà il sangue e la vita con cui questi figli si sono ricongiunti con la madre terra.
Ricameremo anche i nomi dei sopravvissuti poiché la loro esistenza è un inno alla vita.
Noi lo sappiamo, la vita è sacra e ad essa siamo legati nella nostra resistenza quotidiana attraverso il filo dell’amore e della pratica della cura.

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