Il 3 ottobre è una data per non dimenticare ma anche e soprattutto per ricordare le responsabilità di tragedie come quella dei 368 eritrei morti nel naufragio al largo di Lampedusa di nove anni fa.
Quella distesa di corpi, tra cui decine di bambini, che Giusi Nicolini, all’epoca sindaco dell’isola, definì “un tappeto di carne umana” dovrebbe pesare sulle coscienze di chi nulla fa per fermare le morti in mare.
Dal 2016 la data del 3 ottobre è stata dichiarata Giornata nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione, con una legge voluta dal parlamento e promulgata dal Presidente della Repubblica il 21 marzo 2016. Ma da quel 3 ottobre del 2013 poco è cambiato.
Anzi.
Dopo quella tragedia oltre 25mila migranti sono morti nel Mediterraneo, 1400 solo nel 2022. Accogliere chi scappa da carestie, guerre e torture è un dovere morale e giuridico. Per l’Italia e per l’Europa
Europa che ha finora fallito nel tenere fede ai valori fondanti della sua Costituzione.
Le immagini delle bare, una accanto all’altra, tante bianche e minuscole, nell’hangar dell’aeroporto militare, è ancora nitida nella nostra memoria.
Imperitura memoria perché dimenticare è impossibile.
L’Italia reagì a quella tragedia creando l’operazione “mare nostrum”, che ha salvato tante vite. In un solo anno oltre 170.000.
Ma nell’ottobre del 2014 la missione è stata sospesa perché l’Europa non ha voluto farsene carico, non ha voluto considerare il Mediterraneo un mare “anche” europeo.
Nacque così Triton, una missione diretta più a monitorare e scoraggiare l’arrivo dei migranti piuttosto che a portare soccorso.
Da allora altre 270.000 naufraghi sono stati recuperati da navi italiane e di altri stati europei ma soprattutto da imbarcazioni private e di organizzazioni non governative, come Medici senza frontiere.
Poi è iniziata la politica del contrasto alle ong alle quali si è tentato di continuare a salvare vite.
Molti, troppi, sono ancora i morti che si arenano sulle nostre spiagge o che finiscono in fondo al mare con le carrette su cui si imbarcano sperando in un viaggio della speranza che quasi mai termina in un porto sicuro.
A oggi, da quel naufragio che schiaffeggio un intero continente, le vittime sono state 20 mila e il Mediterraneo è diventato un immenso “cimitero” d’acqua.
La Giornata della memoria ha un unico, giustissimo, fine conservare e rinnovare il ricordo di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro e altri paesi europei per sfuggire a guerre, persecuzioni e miseria.
Ma non basta una “cerimonia”.
Serve ben altro a impegnare gli Stati a raccogliere la sfida delle migrazioni, a tutelare la vita e la dignità delle persone in fuga. Uomini, donne e bambini che null’altro cercano se non una chance di sopravvivenza.
Alternative legali e sicure ai Viaggi clandestine via mare esistono e vanno implementate: ricongiungimento familiare, reinsediamento, corridoi umanitari, visti per motivi di studio o lavoro. Possibilità concrete affinché le persone in fuga da guerre, violenze e persecuzioni, possano arrivare in un luogo sicuro senza dover intraprendere viaggi pericolosissimi rischiando la vita, ancora una volta, come evidenziato anche dalla portavoce di Unhcr Carlotta Sami.
La giornata del 3 ottobre, ribadiamo, non deve essere solo l’occasione per ricordare la tragedia di Lampedusa, ma un momento di riflessione e di denuncia affinché l’irresponsabilità di chi crea le condizioni di queste tragedie sia ben chiara. L’indifferenza di tanti non può essere accettata.