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L’Africa dei videogiochi esporta idee di trasformazione urbana e sociale

L’Africa potrebbe rivelarsi un serbatoio di soluzioni a problemi che l’Europa non sa affrontare. La soluzione potrebbe trovare il suo ambito all’interno di quelli che per motivi storici chiamiamo videogiochi, ma che in realtà sono istruttive simulazioni di situazioni reali.

Ma andiamo con ordine. L’Africa è la regione più giovane del mondo: il 60% della popolazione del continente ha meno di 25 anni e ben il 41% della popolazione ha meno di 15 anni. L’ONU prevede che entro il 2030 la popolazione giovanile in Africa aumenterà del 42%.

L’Africa è un continente non infrastrutturato, senza strade né comunicazioni, a parte poche isole felici. La maggior parte dei dispositivi digitali è composta da smartphone di qualità variabile. Moltissime persone li usano per informarsi o per imparare, molto più avidamente di quanto succeda in Europa, dove l’uso principale è l’intrattenimento più o meno futile. Confezionare il sapere sotto forma di gioco è un mezzo straordinario per reimpostare scuola ed economia, ovviando a carenze strutturali.

L’Europa, come altre macroregioni, potrebbe imparare dalla lezione africana come ristrutturare modelli di vita con diversa gestione delle risorse. Allenare la fantasia a percorrere sentieri diversi da quelli soliti è un’altra delle cose che Cina ed Europa ricercano per i cittadini del futuro. L’Africa ha dei suoi immaginari più o meno locali, ma nelle narrazioni spesso li filtra con gli occhi degli occidentali. Questo potrebbe non accadere passando per i videogiochi. La trasformazione energetica e logistica, il ripensamento dei processi lavorativi e scolastici, la nuova gestione della distanza, l’attenzione al futuro nell’analisi dei comportamenti tramite intelligenza artificiale sono solo alcuni dei cambiamenti che sono difficili, se non impossibili, per chi è abituato a vivere in altro modo.

Le informazioni contenute in questo articolo provengono in gran parte da un articolo pubblicato da Nvidia, azienda leader nell’intelligenza artificiale.

 

Videogiochi alla frontiera tra scuola e comportamento

I videogiochi sono un settore in grande crescita economica. La società di ricerche di mercato Mordor Intelligence prevede che le entrate dei giochi nel continente cresceranno a un tasso annuo del 12% fino al 2026 rispetto al 9,6% per il mondo intero. Si prevede che entro la fine del 2025 l’Africa avrà più di 680 milioni di utenti di telefoni cellulari, determinando un aumento del numero di giocatori e diventando ancora più significativa nella ricerca di nuovi modelli.

Ma non si tratta di giochini. “I nostri giochi influenzano direttamente la conoscenza e il comportamento dei giovani su argomenti come la violenza di genere, la salute mentale, la salute sessuale e riproduttiva, l’istruzione e la risoluzione pacifica dei conflitti”, ha affermato Jay Shapiro, fondatore e CEO della Usiku Games di Nairobi. Jay, canadese di nascita, ha mietuto molti successi in Asia per poi trasferirsi in Kenya.

 

 

Il concetto è tanto nascosto quanto semplice: un canale come il videogioco può essere usato per svago, informazione, formazione e lavoro allo stesso tempo. Sviluppare nuovi modelli dove ci sono pochi spostamenti su ruota è una scelta forzata in gran parte dell’Africa, mentre in Europa diventa un sogno di trasformazione urbana come la famosissma città in 15 minuti.

Tolo Sagala è l’eroina di Africa’s Legends, il gioco della ghanese Leti Arts. Ma anche Ananse, dalla doppia anima di studente e divinità, rappresenta benissimo l’antica cultura Wagadu.

Il Continente nero ospita oggi un numero crescente di game studios. A gennaio, la startup sudafricana Carry1st ha raccolto 20 milioni di dollari per una piattaforma di pubblicazione di giochi per dispositivi mobili destinata al mercato africano. Altri nomi interessanti sono Maliyo Games, Kirro Games, Kayfo Games, Tawia; altri ancora stanno arrivando.

Pagati per giocare

Un altro elemento al quale guardare con attenzione è quello di nuove economie basate su valute gestite da organizzazioni e non da Stati. Stiamo parlando del crypto gaming, basato su valute garantite tramite una tecnologia detta blockchain, della quale si parla molto.

Anche in questo caso, il collegamento con i giochi e con l’Africa è molto forte.

Una recente ricerca di Triple-A ha indicato che nella fascia 21-38 anni il 5% delle persone possiede criptovalute, ma nel segmento dei gamers la percentuale s’impenna al 55%. Qui il cambiamento di paradigma è dal modo classico, cioè di pagare per giocare (pay to play), al rivolgimento dello schema, per guadagnare mentre si gioca (play-to-earn). L’Africa è molto giovane, quindi sperimenterà le innovazioni con minor tempo rispetto alla vecchia Europa. Una fortuna, per la scarsa fantasia degli europei: basterà copiare.

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