Skip to content
Analisi & approfondimenti

Kenya, la Generazione Z lascia la strada ma rimane mobilitata online

Dopo il ritiro della controversa legge di bilancio, le proteste in piazza si sono per ora in parte calmate ma i giovani che si sono mobilitati contro gli aumenti delle tasse ora chiedono una nuova politica. I ragazzi hanno chiesto unicamente l’opportunità di poter essere ascoltati: dalle pietre (come si faceva una volta per difendersi…

Dopo il ritiro della controversa legge di bilancio, le proteste in piazza si sono per ora in parte calmate ma i giovani che si sono mobilitati contro gli aumenti delle tasse ora chiedono una nuova politica.

I ragazzi hanno chiesto unicamente l’opportunità di poter essere ascoltati: dalle pietre (come si faceva una volta per difendersi dalla polizia) ai telefonini.

I poliziotti di Nairobi non sapevano che fare di fronte ai manifestanti che invece di lanciare sassi riprendevano tutto quello che accadeva. Queste manifestazioni erano diverse da altre proteste di massa viste in precedenza in Kenya. Questa volta, i giovani manifestanti hanno filmato gli scontri con gli agenti di polizia con i loro smartphone, pubblicandoli online. Le proteste hanno guadagnato slancio sui social media sotto l’hashtag “OccupyParliament”.

Non siamo di fronte alla ennesima rivolta etnico-politica come è già avvenuto in Kenya e anche altrove in Africa e nemmeno di fronte a un tentativo di destabilizzazione golpista: siamo davanti alla ribellione di un’intera generazione che vede messo a repentaglio il proprio futuro.

I giovani di Nairobi hanno preso d’assalto il parlamento perché sono delusi, vogliono essere ascoltati da adulti, ma vedono le loro aspirazioni frustrate. Questo avviene anche in altri paesi del continente africano anche in modo diverso perché in Africa è in corso un cambiamento antropologico: al posto della vecchia cultura passiva che seguiva i “padri” si impone sempre di più per le nuove generazioni la spinta a ricercare un proprio interesse individuale e forte, che rifiuta sia il passato  tradizionale che quello coloniale e anche post-coloniale.

 

La grande novità di queste trascorse proteste è stata l’assenza di una leadership riconosciuta che di solito dirige e convoca i manifestanti: il sistema poliziesco non è infatti abituato ad agire unicamente sulla folla, in quanto in genere prende di mira principalmente i promotori della protesta, seguendo l’idea che colpendo la leadership la folla si disperderà .

 

 

Dall’inizio dei raduni di metà giugno, le classi medie avevano formato la maggior parte delle proteste, danzando, cantando e brandendo smartphone per catturare e condividere questa eccitazione senza precedenti. Una immagine rimane impressa su tutte quella di un giovane ragazzo di Nairobi guarda dritto nella telecamera della BBC ed urla: “mr president  watch us” ( signor presidente guardaci!).

 

Nei vari forum on line e nei diversi profili social degli attivisti punteggiati dai capricci della scarsa connessione internet, i partecipanti raccontano l’orgoglio della vittoria, evocano le vittime uccise dalla  polizia – molte sono morte per proiettili, secondo le ONG.

Sui social vengono utilizzati principalmente due hashtag, #OccupyParliament, #RejectFinanceBill e #GenZ, quest’ultimo per sottolineare l’identità giovanile dei manifestanti.

Ma, in un mix di inglese, swahili e sheng (lo slang di Nairobi) discutono anche di corruzione o dell’influenza del Fondo Monetario Internazionale (FMI) sulla politica del presidente William Ruto. “Ruto must go” è stato lo slogan più scandito dai dimostranti nelle manifestazioni.

 

 

La mancanza di responsabilità della classe politica keniota è una delle principali lamentele della Gen Z  il cui impegno e, soprattutto, il livello di consapevolezza e informazione ha suscitato ammirazione in tutto il paese.

Pur senza un vero leader i giovani protagonisti di questa settimana chiariscono in questa dichiarazione  su X (Twitter)    che la loro protesta non é tanto per la legge finanziaria ma soprattutto per la struttura socio-economica del paese «… abbiamo un problema con i sistemi post-coloniali e le strutture che hanno operato nel paese negli ultimi 61 anni. Queste strutture hanno creato una società squilibrata di chi ha e chi non ha. Ci chiediamo come sia possibile che una popolazione con un alto tasso di scolarizzazione languisca in povertà mentre un piccolo gruppo di elité controlli più del 90% della nostra economia.»

 

Ma la richiesta più importante , è stata rivolta a Martha Koome, presidente della Corte Suprema, perché affretti la ricostituzione della commissione elettorale (Indipendent Electoral and Bounderies Commission, IEBC) e apra la registrazione dei votanti per permettere ai giovani di partecipare fin da subito a tutte le fasi del processo elettorale.

 

I cartelli con le parole “Reject finance bill” (no alla finanziaria) e le magliette con scritto “Gen Z”, sono i segni dell’indignazione di una generazione colpita dalla disoccupazione, dalle tasse e da un alto costo del denaro. Finora si parlava dei nati tra il 1995 e il 2010 per la loro tendenza a confrontarsi solo sui social media e a mostrare scarso interesse per i problemi del paese, ma ora le cose sono cambiate. Questi giovani hanno dimostrato grande abilità nel coordinare le loro azioni, che si sono diffuse in 35 delle 47 province keniane, assumendo una dimensione nazionale.

 

Il Kenya, nonostante la sua reputazione, non è estraneo alle proteste e ai disordini politici ma queste proteste sono diverse, guidate da un movimento organico   senza leader che ha reso improvvisamente  senza senso le vecchie divisioni etniche che i politici hanno usato per manipolare.

 

 

Una nuova generazione   sta mostrando il proprio volto e avanzando le proprie richieste, passando dalla rabbia sui social alla rivolta di strada.  Le recenti proteste hanno mostrato che i giovani del Kenya sono pronti e disposti a utilizzare  bene i social media per   scrivere una nuova pagina della storia del loro paese.

 

 

Articoli correlati

Senegal, le sfide dei giovani leader africani

Kenya, impegno per una innovazione delle politiche educative

Guido Gargiulo

Appassionato di Taiwan, Asia e Africa. Laureato in Lingue e Culture dell’Europa e delle Americhe presso l’Università L’Orientale di Napoli, ho approfondito lo studio del cinese al Taiwan Mandarin Educational Center e all’Istituto Confucio. L’Africa ha sempre avuto un posto speciale nel mio cuore, con studi anche del Kiswahili, una delle lingue più parlate nel continente.

Torna su