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“Il vestito azzurro” di Antonella Napoli, la sfida a un regime e il coraggio di una giornalista

Un tuffo di 160 pagine. Una storia vera vissuta in prima persona dall’autrice. Stavolta la fantasia non c’entra. La fantasia in questo caso serve solo per immaginare i luoghi e le persone narrati tra le pagine che si susseguono una dopo l’altra. Sto parlando de “Il vestito azzurro”, il nuovo libro, edito da People, della giornalista e scrittrice Antonella Napoli, una persona che nel mondo della comunicazione non ha certo bisogno di presentazioni. Una giornalista e scrittrice esperta, capace di trasportare il lettore e di coinvolgerlo lettera per lettera, frase per frase nelle vicende narrate nel volume, come testimonia l’introduzione del libro mentre viene raccontata la tremenda esperienza di Meriem, una donna del Sudan, condannata a morte per il suo rifiuto nel voler abbracciare la fede islamica. Incredibile la capacità dell’autrice nel trasmettere le stesse emozioni e le stesse preoccupazioni provate da Meriem e che io stesso ho provato da semplice lettore. Un dettaglio che mi ha stupito leggendo “Il vestito azzurro”, è quanto alcune persone che potremmo considerare semplici comparse, riescano ad avere un ruolo da protagonisti attorno a questa storia, direi fondamentali, come il rapporto di fiducia tra l’autrice e il suo autista oppure tra questa e i gestori dell’ Hotel in cui la stessa alloggia, in una città Khartoum, e in un paese, il Sudan, da 30 anni governato dal dittatore Al-Bashir, cacciato nel 2019, dove la totale assenza di democrazia e di libertà di stampa, sembrano cose impossibili per un occidentale all’epoca dei fatti. Ma “Il vestito azzurro” non è solo un libro che racconta la povertà e la crisi del popolo sudanese. Non mancano i risvolti positivi, come quando l’autrice scorge per puro caso mentre è intenta a fare alcune riprese, alcuni ragazzi che giocano felici mentre fanno il bagno nel Nilo. Molte cose del volume mi hanno fatto battere il cuore nel bene e nel male. La cosa che mi ha sconvolto maggiormente è stato il momento del fermo dell’autrice da parte di “sedicenti poliziotti”. I momenti descritti in quelle pagine arrivano dritte come un forte pugno nello stomaco. Poi la liberazione, e nonostante il pericolo appena passato, la voglia di proseguire il viaggio e rinunciare ai comfort e alla sicurezza dell’ambasciata per dirigersi verso i campi profughi del Darfur, per ascoltare e raccontare la vita di tante donne vittime di violenze e stupri, abbandonate, sole, senza futuro, ma con una speranza rappresentata e racchiusa in un vestito azzurro, colore simbolo della purezza in Darfur, un regalo chiesto da una delle donne all’autrice. Personalmente credo che questo libro non si possa racchiudere in una categoria. Il vestito azzurro è: rabbia, storia, violenza, ingiustizia, religione, politica, ribellione, voglia di libertà, democrazia, guerra, pace, morte, vita. Ma è anche una storia d’amore. La storia di un marito che in Italia attende il ritorno della sua amata dopo aver appreso la notizia del suo fermo in Sudan. Per un paio d’ore ho quasi avuto l’impressione di essere lì, di aver parlato con tutte quelle persone, di aver assaggiato gli stessi cibi e le stesse bevande descritti dall’autrice. Nella mia testa sento addirittura riecheggiare la voce del muezzin. Mi vedo anche tra i manifestanti colpiti dai lacrimogeni nelle prime pagine della storia. La realtà dei fatti è che “Il vestito azzurro” non è solo un libro. Il vestito azzurro è sicuramente l’abito che tutte le donne vittime di violenze vorrebbero indossare.

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