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Il senso della presenza della MINUSCA nella Repubblica Centrafricana

Il 3 febbraio 2022 si è tenuta presso il Campo Moana di M’Poko la cerimonia del passaggio di comando alla testa dell’EUTM-RCA (European Union Training Mission in the Central African Republic) dal Generale francese Jacques de Montgros al belga Jacky Cabo. L’EUTM-RCA, che riunisce le forze dell’Unione Europea (UE), è presente nella Repubblica Centrafricana (RCA) da ben 5 anni, con il compito di rafforzare le capacità militari delle forze armate nazionali, che devono confrontarsi con una crescente instabilità e pericolosità dilaganti nel Paese.

In quegli stessi giorni, gli abitanti del villaggio Antogo Bakari sono stati vittime di un attacco armato ad opera di un gruppo ribelle facente capo all’UPC (Union pour la paix en Centrafrique), un movimento politico-militare diretto da Ali Darassa e sorto da una scissione dai Séléka, che ha causato la morte di tre persone, mentre tre giovani sono state violentate senza che la MINUSCA (Mission multidimensionnelle intégrée des Nations Unies pour la stabilisation en République centrafricaine-United Nations Multidimensional Integrated Stabilization Mission in the Central African Republic) facesse nulla per contrastare la milizia; il contingente delle Nazioni Unite (NU) ha, infatti, una base a meno di 10 km dal luogo teatro delle violenze e malgardo tale prossimità, stando al resoconto di alcuni testimoni, ha rifiutato di intervenire, attendendo ben due ore prima di effettuare un pattugliamento sul luogo dei fatti.
Il risentimento crescente in questo piccolo villaggio è solo una minima parte di quello disseminato in tutto il Paese nei riguardi della presenza delle forze delle NU. In particolare, ciò che si lamenta è il fatto che nella maggior parte dei casi i caschi blu, pur non essendo distanti dai villaggi attaccati, tardino ad intervenire, proprio come un medico che giunge dopo il decesso del paziente. Gli appartenenti all’UPC, così come quelli facenti capo ad altri gruppi ribelli, commettono molteplici crimini senza che i caschi blu si adoperino per proteggere la popolazione civile terrorizzata.
Un altro episodio che ha sollevato aspre critiche è stato denunciato dal deputato Ernest Mizédio, il quale ha dichiarato ai media che vi sarebbe stata una “manovra” messa in atto dalla MINUSCA, di concerto con la Corte Penale Speciale (CPS), un tribunale ibrido presente a Bangui con il compito di perseguire i cresponsabili di gravi crimini commessi dai gruppi Séléka e anti-Balaka nella loro lotta per il potere. Questa denuncia segue una rivolta da parte della popolazione della città di Obo, nell’est del Paese, contro la MINUSCA, che sarebbe colpevole di aver scortato dei ribelli dell’UPC fuori da Bangui, dopo essere stati rilasciati per ordine della CPS, che invece avrebbe dovuto processarli per i loro crimini. Di fronte a ciò la popolazione della cittadina si è scagliata ferocemente contro la presenza della MINUSCA sul territorio centrafricano, rea di non essersi mai veramente opposta alla violenza regnante nel Paese, restando piuttosto passiva di fronte agli eventi catastrofici che affliggono la popolazione.
Un’ulteriore accusa contro la MINUSCA sarebbe quella secondo cui certi contingenti sarebbero in affari con i ribelli per attività losche, come risulterebbe dalla scoperta, nel novembre 2021, di una rete di contrabbando che opererebbe tramite il contingente portoghese della MINUSCA. Questo episodio, che ha portato alle dimissioni del Rappresentante speciale del Segretario Generale delle NU, ha aggravato la reputazione della MINUSCA. Questo è piuttosto grave poiché le missioni di peace-keeping si svolgono sotto il controllo politico del Consiglio di Sicurezza, organo supremo nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionali, che delega per questo il Segretario Generale, il quale in seguito nomina un Rappresentante speciale operativo sul campo e un Comandante supremo a capo della catena di comando.
Pertanto, ci si interroga su chi debba rispondere per le condotte poste in essere da coloro che operano nell’ambito della MINUSCA, in particolare per le violazioni dei diritti dell’uomo, e cioé se responsabili debbano considerarsi solo i militari individualmente, gli Stati che forniscono i contingenti, le NU o, infine, tutti questi tre soggetti, così come è stato sancito da alcune corti internazionali.
Con la risoluzione 2272 (2016) il Consiglio di Sicurezza ha, in effetti, chiesto agli Stati di rinforzare le misure atte a prevenire e reprimere la commissione di crimini commessi dai peace-keepers e al Segretario Generale di sostituire i contingenti nazionali laddove lo Stato di nazionalità dei militari non sia in grado di esercitare il controllo sull’operato degli stessi.
Ci si interroga, dunque, sul ruolo delle missioni delle NU, che hanno come scopo quello di garantire la sicurezza interna in Stati fragili situati in aree interessate da conflitti. Vi sono state diverse generazioni di operazioni di pace delle NU, le cui funzioni si sono gradualmente evolute dopo la fine della Guerra Fredda. Una prima generazione fu rappresentata dalla forza UNEF I (First United Nations Emergency Force), nel 1956, che doveva fronteggiare la crisi di Suez. Le missioni di peace-keeping dello stesso tipo dovevano servire come forze di interposizione tra le parti in conflitto per garantire le misure di cessate-il-fuoco e impedire la ripresa delle ostilità. Queste missioni, che impegnano i militari per mezzo di accordi tra le NU e gli Stati membri, richiedono il consenso dello Stato sul quale esse operano, esigono la neutralità delle stesse missioni, e limitano l’uso della forza alla legittima difesa dei militari e alla protezione della missione in generale. Inoltre, la loro direzione è affidata ad un Comandante in capo nominato dal Segretario Generale.
Tuttavia, dopo la fine della Guerra Fredda, le missioni di pace hanno subito un mutamento in favore di una amministrazione territoriale mirante a garantire la sicurezza interna di Stati fragili o failed States. A seguito della fine di un conflitto, queste missioni perseguivano il fine di condurre lo Stato coinvolto verso un processo di transizione democratica attraverso l’esercizio di funzioni sovrane civili e militari, come il controllo del rispetto dei diritti umani, l’assistenza umanitaria, il controllo sulle elezioni e così via. Una terza generazione di missioni di peace-keeping le vede impegnate nell’imposizione della pace attraverso l’uso della forza militare, mentre l’ultima generazione, che è ancora lontana dal realizzarsi, vedrebbe la creazione di contingenti permanenti propri delle NU.
Recentemente, la risoluzione 2382 (2017) ha introdotto le missioni di pace di polizia, le police peace-keeping, dove è privilegiato un approccio politico per la risoluzione dei conflitti. A ben vedere, infatti, nel corso degli ultimi anni, il Consiglio di Sicurezza ha rinnovato il mandato a diverse missioni e operazioni di pace, come quella in Libano, in Siria, sulle Alture del Golan, nel Sahara occidentale, in Repubblica Centrafricana, in Mali, nel Sud Sudan, in Repubblica Democratica del Congo e a Cipro. L’aggiornamento dei mandati da parte delle NU negli ultimi anni ha avuto come obiettivo privilegiato la protezione dei civili e il sostegno ai processi politici. Questi aggiornamenti illustrano la logica onusiana che consiste nel dare priorità alla politica nella prevenzione e soluzione dei conflitti.
Per ciò che concerne il rafforzamento della protezione dei civili, questo aspetto del mandato delle missioni di pace ha subito una rilevante evoluzione negli ultimi vent’anni. Il Dipartimento delle operazioni di pace delle NU, nel novembre 2019, ha pubblicato la sua Politica aggiornata sulla protezione dei civili nel corso delle operazioni di mantenimento della pace delle NU. Questa si snocciola attraverso tre principi guida: proteggere attraverso il dialogo e il contatto, assicurare la protezione fisica, creare un ambiente protettivo. Questa nuova politica è stata resa ancor più dettagliata, nel maggio 2020, nell’Handbook on the Protection of Civilians in United Nations Peacekeeping. Il principio che poggia sul dialogo e sul contatto mira a prevenire, attenuare e contrastare le minacce che gravano sulle missioni facendo affidamento sulla fiducia, sulla predisposizione di progetti con effetti immediati e sul dialogo con la società civile locale con la quale dover consultarsi, perché è attraverso il dialogo con la popolazione locale che si attua al meglio la funzione di protezione dei civili.
Il secondo principio consiste nell’assicurare la protezione fisica e riunisce le attività condotte da tutto il personale della missione proprio al fine di proteggere l’incolumità fisica dei civili. Questa funzione può attuarsi attraverso una pluralità di condotte, quali: l’uso della forza, la minaccia dell’uso della forza, una semplice presenza visibile in luoghi strategici o l’aiuto a trovare rifugio alle potenziali vittime.
Il principio consistente nel creare un ambiente protettivo concerne in particolare le attività di prevenzione dei conflitti e di consolidamento della pace piuttosto che di cessazione dei conflitti. Queste attività si sostanziano in un supporto allo stato di diritto e appoggio alle autorità locali affinché si facciano carico della protezione dei civili. Sono attività che possono tradursi in riforme nel settore della sicurezza o in quello amministrativo al fine di rendere efficiente e effettiva la prestazione di servizi pubblici o nel sostegno al sistema giudiziario penale, anche agevolando l’operatività e il buon funzionamento della CPS, per ciò che riguarda in particolare la Repubblica centrafricana.
Nel corso del 2020, il Consiglio di Sicurezza ha prorogato i mandati di sette operazioni in corso, tra cui i c.d. “mandati robusti”, come la MINUSCA, detti così perché si autorizza ad adottare tutte le misure necessarie, o meglio ad usare tutti i mezzi necessari allo svolgimento del mandato e non limitatamente alla protezione dei civili di fronte alle minacce che gravano su di loro nelle zone interessate del mandato stesso. Laddove altre missioni dispongono di un “mandato di forza” più ristretto e relativo a certi aspetti del mandato, come la protezione dei civili e del personale della missione.
Circa la MINUSCA, i suoi compiti prioritari hanno subito una evoluzione nel 2019 per adeguarsi alle conseguenze della firma, il 6 febbraio 2019, dell’Accordo politico per la pace e la riconciliazione in RCA da parte delle autorità governative e 14 gruppi armati. Gli obiettivi e i compiti della missione sono, pertanto: 1) la protezione dei civili; 2) il ricorso ai buoni uffici e l’appoggio al processo di pace, compresa l’attuazione dell’Accordo di pace; 3) l’appoggio alle elezioni del 2020 e 2021; 4) l’agevolazione dell’aiuto umanitario da attuarsi in condizioni di sicurezza e senza ostacoli. La novità principale del mandato della MINUSCA consiste nella integrazione di una nuova Missione di osservatori dell’Unione africana in Repubblica Centrafricana (MOUACA) a titolo di interlocutori della MINUSCA, con cui quest’ultima deve interfacciarsi e coordinarsi al fine di attuare la riforma del settore della sicurezza centrafricana.
Dunque, oggi, queste missioni di pace sono anche missioni militari, come tali autorizzate ad usare la forza armata e proprio per questo non si comprende il loro senso, quando esse si limitano a dei semplici pattugliamenti del territorio. La popolazione centrafricana, a giudicare dal malcontento dilagante e via via crescente, non ha bisogno di una presenza discreta, quanto di una protezione effettiva. A tale riguardo, sembrerebbe che l’EUTM-RCA infonda più fiducia nella popolazione centrafricana, in ragione della vicendevole collaborazione tra Europa e RCA, poiché l’impegno dell’EUTM e quello di rafforzare le forze armate nazionali al fine di renderle in grado di garantire la sicurezza della popolazione. Sembrerebbe, dunque, che l’intervento europeo funzioni meglio di quello onusiano.

Credits foto UN Minusca 

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