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I migranti dall’Africa fuggono dalla fame e dal nuovo colonialismo

Molto spesso sentiamo ripetere il ritornello ignorante “aiutiamoli a casa loro”, riferendosi agli africani che decidono di lasciare il loro Paese e di avventurarsi nel Mar Mediterraneo alla ricerca di una nuova speranza.

Tra le cause che spingono gli africani a questa drammatica decisione, ci sono le guerre, le dittature, le malattie, ma spesso ci dimentichiamo che non sono solo le guerre, ma anche qualcosa di più atroce, la fame e il nostro stesso colonialismo moderno ed edulcorato a spingerli verso il Mediterraneo.

La fame e il colonialismo uccidono molto più lentamente e subdolamente di una pallottola.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha espresso più volte preoccupazione per il potenziale impatto del Covid-19 sulla sicurezza alimentare, che rischia di aggravare il già considerevole fardello della malnutrizione in Africa. Si prevede che l’impatto della malattia sarà maggiore tra coloro che sono alle prese con la scarsità di cibo e la malnutrizione, mentre la diffusa insicurezza alimentare probabilmente aumenterà a causa delle restrizioni ai movimenti, perchè le importazioni di cibo, i trasporti e la produzione agricola sono rallentatida una combinazione di blocchi, restrizioni di viaggio e misure di allontanamento fisico.

La fame in Africa continua a crescere, dopo molti anni di declino, minacciando gli sforzi del continente di sradicarla e raggiungere gli Obiettivi di Malabo 2025 e l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, in particolare il secondo Obiettivo di sviluppo sostenibile (SDG2). I nuovi dati presentati nel rapporto congiunto delle Nazioni Unite, l’Africa Regional Overview of Food Security and Nutrition, pubblicati recentemente, indicano che 237 milioni di persone nell’Africa sub-sahariana soffrono di denutrizione cronica, capovolgendo i passi avanti realizzati negli ultimi anni.

Secondo il rapporto, “il peggioramento del trend in Africa è dovuto alla difficile situazione economica globale, al peggioramento delle condizioni ambientali e, in molti Paesi, ai conflitti e alla variabilità climatica e agli eventi estremi, a volte insieme. In Africa meridionale e orientale, sono molti i Paesi che hanno sofferto di lunghi periodi di siccità.

A questo quadro si aggiunga che il Covid-19 non ci tratta tutti allo stesso modo e, sebbene finora ci siano state poche ricerche sulla malnutrizione come comorbilità per Covid-19, le persone con un sistema immunitario indebolito a causa della denutrizione corrono un rischio maggiore e quindi è probabile che siano più vulnerabili al nuovo virus.

Importanti sfide e traguardi devono essere raggiunti nel Continente africano, come la disoccupazione giovanile e il cambiamento climatico. L‘agricoltura e il settore rurale devono svolgere da questo punto di vista un ruolo chiave nella creazione di posti di lavoro dignitosi per i 10-12 milioni di giovani che ogni anno entrano sul mercato del lavoro.

Ma, come sappiamo, la politica di molti governi africani è funestata dalla presenza storica di dittature e di corruzione. Eppure, non è solo questo il problema. Le multinazionali straniere, che investono in Africa e che dovrebbero creare mercato del lavoro in Africa, destano più di qualche preoccupazione e non ci lasciano molto spazio all’ottimismo.

In una nota fabbrica gestita da cinesi, in cui gli operai sono nigeriani, la testimonianza di un operaio avrebbe messo in luce le condizioni disumane in cui gli operai sono costretti a lavorare. Gli uomini subiscono aggressioni fisiche mentre le donne subiscono violenze sessuali. Quando devono impartire la disciplina ai dipendenti, i capi impiegano l’esercito nigeriano.

Il governo, che avrebbe avviato un’ispezione, è a conoscenza di questi abusi ma ha deciso di optare per il silenzio. Così, per ora, i cinesi rimangono impuniti: hanno in pugno il governo e la polizia grazie alla corruzione.

Ma il modus operandi di alcune multinazionali cinesi è noto da tempo. In alcuni Paesi, tra i quali l’Angola, la Repubblica Democratica del Congo, e la Guinea, i cinesi hanno concesso facili finanziamenti ai governi, elaborando accordi segreti che premiano gli investitori cinesi con condizioni ancora più sbilanciate di quelle di cui i governi e le imprese occidentali tendono a godere.

Ma non si può puntare l’indice accusatorio solo nei confronti di alcuni cinesi, perchè già nel 2010 l’esportazione di carburante e minerali dall’Africa, che valeva 333 miliardi di dollari, portava nelle casse africane solo una piccola frazione di quel valore.

Per non parlare dei giganti del petrolio, gas e minerali, che, attraverso strategie di elusione fiscale, assegnano la maggior parte del loro reddito alle società controllate nei paradisi fiscali come Bermuda, Isole Cayman e Isole Marshall. Alcuni governi occidentali tollerano e persino difendono tali accordi, che aumentano i profitti delle società occidentali e delle grandi imprese multinazionali.

La siuazione in Africa è complessa e contraddittoria e non possiamo tacitare le nostre coscienze con slogan umanitaristici.

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