I bambini non sono solo “vittime della guerra”, ma anche veri e propri “esecutori” materiali della violenza bellica, non per questo meno vittime. Secondo il diritto internazionale, l’espressione bambini-soldato sta ad indicare “tutte le persone, maschi o femmine, con meno di 18 anni, appartenenti ad un esercito regolare o ad un gruppo comunque armato, arruolate su base volontaria o con la forza”. Tuttavia, l’espressione bambini-soldato non si riferisce solamente a coloro che usano le armi, ma ugualmente a chi ricopre ruoli di cuoco, portatore, messaggero, spia o venga reclutato ai fini di sfruttamento sessuale o costretto al matrimonio. Questa definizione è stata prodotta nel 1997 a Città del Capo al termine dei lavori della Conferenza organizzata dall’UNICEF sulla prevenzione, la smobilitazione e la reintegrazione sociale dei bambini-soldato. L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), con la Convenzione numero 182 ha inserito il reclutamento forzato di minori ai fini di un loro impiego nei conflitti armati tra le forme peggiori di lavoro minorile.
L’Africa è il continente più colpito dal fenomeno dei bambini-soldato, dell’età anche di cinque e sei anni, con oltre 100 mila minorenni utilizzati nelle guerre che insanguinano diversi Stati.
Le cause del fenomeno sono plurime. Per quanto riguarda quelle sociali, dati statistici affermano che oltre un miliardo di persone vive in paesi ad alto rischio di guerra civile, più di un miliardo e trecentomila persone vive al di sotto della soglia di povertà. In certi contesti sociali l’esclusione è la condizione con cui bambini e giovani si trovano a doversi confrontare quotidianamente, ciò che li spinge a rivolgersi a “collettività includenti”, costituite da associazioni del crimine organizzato e organizzazioni militari illegali.
Anche le innovazioni tecnologiche e la proliferazione delle armi leggere hanno contribuito al fenomeno. Le migliorie intervenute nella fabbricazione, come ad esempio l’utilizzo di parti in plastica, hanno reso le armi leggere, maneggevoli e a buon mercato, tanto da poter facilmente essere utilizzate anche da un bambino di 10 anni. Il kalashnikov AK-47, di fabbricazione russa, è costituito da nove parti mobili; si tratta di una arma robusta che pesa però solo 3,150 Kg e richiede scarsa manutenzione. In genere un bambino impiega circa mezz’ora per imparare ad usarlo.
Anche la nuova natura delle guerre è una concausa del fenomeno dei bambini-soldato. A partire dalla fine del ventesimo secolo, la natura del conflitto armato è notevolmente cambiata, tanto da coinvolgere in modo attivo e diretto nei combattimenti bambini e adolescenti. Queste nuove guerre sono alimentate in misura sempre maggiore dalla logica del profitto e quindi non si caratterizzano più come scontri tra Stati, ma vedono contrapporsi, oltre ad eserciti regolari, numerose forze di opposizione, fazioni, gruppi paramilitari, bande di ribelli che si battono per la conquista e il controllo del territorio al fine di sfruttare le risorse in modo intensivo, coinvolgendo drammaticamente anche la popolazione civile. Sono le c.d. “guerre per le risorse”. In Africa, attività come il commercio di diamanti, terre rare, legname pregiato portano beneficio solo a piccole oligarchie, locali o internazionali, a uomini d’affari ed élite economiche. Se la prima metà del ventesimo secolo è stata caratterizzata dalle due guerre mondiali, la seconda metà ha visto la moltiplicazione dei conflitti interni.
La nuova natura dei conflitti bellici ha dato origine ad una sorta di “stato di guerra permanente”, che richiede un ricambio di reclute costante, per cui eserciti governativi e milizie ricorrono in maniera crescente all’utilizzo di bambini e adolescenti, che quindi rappresentano un’alternativa al reclutamento degli adulti. Il ricorso ai minori è considerato prezioso in quanto poco costoso in termini di addestramento e di paga, minima o quasi sempre inesistente. In genere il reclutamento è seguito da metodi crudeli di addestramento e conversione finalizzati a impiegare il bambino nei combattimenti, a favorire la sua dipendenza dal gruppo armato e a impedirne la fuga. In molti casi, i minori arruolati vengono intenzionalmente forzati a compiere atti di violenza estrema e uccisioni, spesso a danno di propri familiari, amici o membri della propria comunità, allo scopo di renderli insensibili alla sofferenza.
Oltre al combattimento, alle bambine vengono affidati anche altri compiti legati alla sussistenza dei militari, al trasporto di materiale, alla raccolta di informazioni, ma vengono sfruttate soprattutto come “schiave sessuali” e date in mogli ai comandanti. Molte di loro vengono colpite da malattie veneree o rimangono incinte e sono costrette a combattere prima e dopo il parto.
Il problema dei bambini-soldato è stato affrontato per la prima volta nel 1977 con i Protocolli aggiuntivi alle Convenzioni di Ginevra del 1949, relativi alla protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali. Nello specifico, l’articolo 77, comma 2 del 1° Protocollo aggiuntivo sancisce che “…le parti in conflitto adotteranno tutte le misure praticamente possibili affinché i fanciulli di meno di 15 anni non partecipino direttamente alle ostilità, in particolare astenendosi dal reclutarli nelle rispettive forze armate…”.
Il testo di riferimento più importante resta però la Convenzione del 1989, che affronta la questione del coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati nell’art. 38 secondo il quale gli Stati parte : “…adottano ogni misura possibile a livello pratico per vigilare che le persone che non hanno raggiunto l’età di 15 anni non partecipino direttamente alle ostilità; s’astengono dall’arruolare nelle loro forze armate ogni persona che non abbia raggiunto l’età di 15 anni. Nel reclutare persone aventi più di 15 anni, ma meno di 18 anni, gli Stati parte si sforzano di arruolare con precedenza i più anziani…”
Lo Statuto della Corte Penale Internazionale include tra i crimini di guerra il reclutamento e l’arruolamento dei fanciulli di età inferiore ai 15 anni nelle forze armate nonché la loro partecipazione attiva alle ostilità. Tuttavia, un obiettivo che si intende raggiungere è quello di elevazione della soglia dei 15 anni a 18 e per questo è stato adottato il Protocollo a Ginevra il 25 maggio 2000, che ha innalzato a 18 anni dell’età minima per l’arruolamento coercitivo e per la partecipazione diretta ai conflitti, ma prevede la possibilità del reclutamento volontario nelle forze armate regolari di minorenni di età superiore ai 16 anni, purché il loro consenso sia “genuinamente volontario”. L’innalzamento dell’età minima è cruciale poiché i ragazzi tra i 15 e i 18 anni lecitamente reclutati nelle forze armate sono a tutti gli effetti considerati combattenti e oggetto di attacco armato.
Quello dei bambini-soldato è un problema difficile da sradicare e di certo, l’attuale normativa internazionale, con le sue lacune e contraddizioni, non aiuta in questo. Fondamentale resta anche il ruolo dei governi e della società civile, affinché si prenda coscienza del fatto che questi orrori esistono oggi nel nostro mondo civilizzato e che chiunque, nel proprio piccolo, può e deve fare qualcosa per combatterli.