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Etiopia, stupro utilizzato come arma di guerra nel conflitto del Tigray

In un nuovo rapporto pubblicato l’11 agosto, Amnesty International ha denunciato stupri e altre forme di violenza sessuale contro le donne e le ragazze del Tigray da parte di forze alleate al governo dell’Etiopia.

A essere chiamate in causa da Amnesty International sono le Forze nazionali di difesa dell’Etiopia, le Forze di difesa dell’Eritrea, la Forza speciale della polizia regionale dell’Amhara e una milizia di etnia ahmara denominata Fano.

“Lo stupro e altre forme di violenza sessuale sono stati usati come armi di guerra per infliggere danni fisici e psicologici alle donne e alle ragazze del Tigray. Centinaia di loro sono state sottoposte a trattamenti brutali allo scopo di degradarle e privarle della loro umanità. La gravità e la dimensione di questi reati sessuali sono spaventose, al punto da costituire crimini di guerra e forse anche crimini contro l’umanità. Chiediamo al governo dell’Etiopia di consentire l’ingresso nel Tigray alla Commissione d’inchiesta della Commissione africana per i diritti umani e dei popoli e sollecitiamo il segretario generale delle Nazioni Unite a inviare nella regione il Team di esperti sulla violenza sessuale nei conflitti”, ha dichiarato Agnés Callamard, segretaria generale di Amnesty International.

Ventotto sopravvissute hanno identificato le forze eritree come uniche responsabili del loro stupro. Dodici, cinque delle quali in stato di gravidanza, hanno denunciato di essere state stuprate da soldati e miliziani di fronte ai loro familiari.

Le strutture sanitarie del Tigray hanno registrato 1288 casi di violenza di genere tra febbraio e aprile del 2021. Il solo ospedale di Adigrat ha registrato 376 casi di stupro dall’inizio del conflitto al 9 giugno. Questi numeri non rappresentano la reale dimensione di questi crimini, dato che molte sopravvissute hanno detto ad Amnesty International di non essersi rivolte ad alcuna struttura sanitaria.

Le sopravvissute ancora non si sono riprese: molte lamentano continue perdite di sangue, dolori alla schiena e fistole, altre dopo lo stupro sono risultate positive all’Hiv/Aids. Non riescono a dormire e hanno sviluppato ansia e altre forme di stress emotivo.

I resoconti forniti dalle sopravvissute sono agghiaccianti: stupri di gruppo all’interno di basi militari protrattisi per giorni se non per settimane; inserimenti nella vagina di chiodi, ghiaia, oggetti metallici e di plastica che hanno causato danni in alcuni casi irreversibili.

A maggio, le autorità dell’Etiopia hanno annunciato la condanna di tre soldati e l’incriminazione di altre 25 persone ma non hanno fornito ulteriori dettagli.

Il 26 luglio Amnesty International ha scritto all’ufficio del primo ministro dell’Etiopia, all’ufficio del procuratore generale federale dell’Etiopia e al ministero delle Donne, dei bambini e dei giovani dell’Etiopia nonché al ministero dell’Informazione dell’Eritrea e a un collaboratore del presidente dell’Eritrea Isaias Afewerki chiedendo di commentare le conclusioni preliminari delle sue ricerche, ma non ha ricevuto ancora una risposta.

Post-scriptum

A proposito di corrispondenza con le autorità dell’Etiopia, desidero fornire all’ambasciata di Roma – che nelle settimane scorse ha pesantemente contestato questo portale circa le fonti di cui si servirebbe – informazioni di carattere metodologico sulla redazione del rapporto di cui sopra.

Tra marzo e giugno del 2021 Amnesty International ha realizzato 63 interviste a donne e ragazze sopravvissute allo stupro: 15 di persona in Sudan, dove si erano rifugiate, e altre 48 da remoto attraverso collegamenti protetti. Oltre a loro, Amnesty International ha intervistato operatori sanitari e personale umanitario che stavano prestando cure alle sopravvissute nelle città di Shire e Adigrat e nei campi per rifugiati in Sudan.

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