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Speciale Etiopia

Etiopia, sale la tensione con la Somalia. L’Egitto invia 10000 soldati

Etiopia

Al centro della questione la Grand Ethiopian Renaissance Dam e l'accordo tra Etiopia e Somaliland per l'accesso al Mar Rosso.

Il recente accordo di partnership militare tra la Somalia del Presidente Hassan Sheick Mohamud e l’Egitto del Generale Al Sisi, sta ridefinendo gli scenari nel Corno d’Africa molto più velocemente di quello che ci si aspettasse.

Il patto, che prevederebbe il dispiegamento pianificato di truppe egiziane in Somalia, 5.000 militari egiziani nell’ambito della missione di peacekeeping guidata dall’UA ed altri 5.000 nell’ambito di un accordo bilaterale separato, con alcuni velivoli dell’aeronautica e mezzi corazzati al seguito, sta rendendo le notti di Addis Abeba piuttosto agitate.

Egitto e Somalia hanno cominciato a stringere accordi militari dopo che l’Etiopia ha sottoscritto con il Somaliland un memorandum d’intesa, attraverso il quale avrebbe accesso al porto di Berbera sul Mar Rosso. Oltre alla questione Somaliland, autoproclamatosi indipendente dalla Somalia nel 1991, mai riconosciuta dal governo di Mogadiscio, l’accesso al Mar Rosso, significherebbe una presenza costante della marina etiope nel Golfo di Aden.

Oltre all’importanza militare e strategica di una base stabile nel golfo, sarebbe una svolta epocale per Addis soprattutto a livello commerciale, che priva di uno sbocco sul mare sin dal 1993, anno dell’indipendenza dell’Eritrea (e costretta a riparare a Djibouti o nello stesso porto eritreo di Assab) oggi si ritroverebbe ad avere la possibilità di curare i propri commerci nell’ambito della Belt and Road Initiative cinese (della quale è pedina fondamentale nel Corno), ma soprattutto di non essere più spettatrice inerme di quello che accade nel Mar Rosso, dove tanto per citare un dato, transita il 12% del traffico commerciale via nave di tutto il mondo.

Il Porto di Berbera nel Somaliland

L’invio delle truppe egiziane ha provocato la reazione etiope, che sebbene alle prese con enormi problemi di carattere interno (le tensioni seguite alla guerra nel Tigray con le popolazioni di etnia Amhara e Oromo sono tuttora in atto) si è spinta a dislocare ulteriori 10000 militari sui propri confini meridionali.

Alcune ore fa è arrivata la notizia (della quale non abbiamo alcuna conferma visiva), di truppe etiopi alle prese con l’acquisizione di aeroporti, considerati fondamentali nella regione somala di Gedo, tra cui Luq, Dolow e Bardere. Anche i media regionali oggi rincorrono la notizia, accrescendo la tensione presente, in un gioco al massacro mediatico senza freni.

Ciò che invece oggi risulta chiaro è il ruolo dell’Egitto. Il generale El Sisi, dopo aver stretto accordi bilaterali nel campo della sicurezza con Djibuti, Kenia, Sud Sudan e Sudan, due giorni fa ha chiuso il cerchio concordando l’incontro, svoltosi ad Asmara, tra il suo Ministro degli esteri e il presidente eritreo Isaias Afwerki.

Oltre a stringere accordi di cooperazione militare, l’Egitto si starebbe proponendo come possibile mediatore tra Asmara ed i tigrini del Tplf che ancora oggi rappresentano la minaccia più potente al governo etiope e una minaccia esistenziale per il presidente eritreo.

Ufficialmente, il Ministro degli Esteri egiziano, Badr Abdel Aty, il capo dell’intelligence egiziana, Abbas Kamel e Isaias Afwerki hanno concordato una strategia condivisa per garantire sicurezza e stabilità nella regione, preservare l’unità territoriale della Somalia e favorire colloqui volti al raggiungimento della pace in Sudan, altro tassello del Corno alle prese con una sanguinosissima guerra che sta sconvolgendo il paese.

Picture taken September 26, 2019. Tiksa Negeri/Reuters.

Sappiamo che al centro dei colloqui invece, vi è stata soprattutto anche la questione legata alla Grand Ethiopian Renaissance Dam, sulla quale l’Egitto ha aperto un violento contenzioso con Addis Abeba, dopo il fallimento dei colloqui orientati a trovare una soluzione alle quote idriche destinate ai paesi a Valle, Egitto e Sudan.

Le trattative che nel 2015 avevano portato i tre paesi a sottoscrivere un MoU che confermava gli accordi firmati nel 1925 e nel 1959, secondo cui ogni modifica alla portata idrica del Nilo doveva essere concordata preventivamente tra gli interessati, si sono sostanzialmente arenate dopo che l’Etiopia ha disconosciuto il valore dell’intesa, perché raggiunte sotto il potere coloniale.

El Sisi è tornato più volte sull’argomento, anche lo scorso Agosto, dove in sede Onu ha accusato “le politiche unilaterali etiopi che violano le regole e i principi del diritto internazionale e costituiscono una flagrante violazione dell’accordo del 2015, nonché della dichiarazione presidenziale del Consiglio di Sicurezza emessa il 15 settembre 2021”.

GERD e MoU con il Somaliland. Al centro del gioco di scacchi in atto nel Corno d’Africa, le acque del Nilo e l’accesso a quelle del Mar Rosso costituiscono i veri nervi scoperti di una situazione che potenzialmente potrebbe essere deflagrante.

L’Egitto gioca la sua carta di gigante, inserendosi in una situazione di per sé piuttosto complessa.

L’Etiopia è uscita da poco da una guerra sanguinosissima con il Tplf, che ha messo a dura prova non solo il nord del paese, il Tigray, ma minato l’architettura stessa della federazione etiope, facendo uscire allo scoperto, come un vaso di Pandora, tutte le fragilità della sua tenuta, si guardi alle tensioni interne con i ribelli oromo dell’OLA o quelle con le milizie Fano amhara.

La Somalia, nel suo circolo vizioso e nefasto di eventi, da una parte è alle prese con la sua voglia di riscatto politico e sociale, nel grande tentativo di ricostruire un proprio tessuto sociale e una propria caratterizzazione commerciale, dall’altro sconta la sanguinosissima guerra contro i terroristi di Al Shabaab e le tensioni politiche interne.

Il Sudan, dal 15 Aprile 2023 è alle prese con un conflitto interno che vede contrapposto il Generale Al Bhuran, a capo dell’esercito sudanese e Mohamed Hamdan Dagalo, Generale a capo delle Forze di Supporto Rapido. In una spirale di violenza e distruzione, il paese è oggi in ginocchio, sostanzialmente diviso in due, dominato dalle scorribande e dalla devastazione causata dalle milizie janjaweed che compongono le RSF e dai bombardamenti dell’una e dell’altra parte. Oggi sono circa 10 le persone in fuga dalle violenze e da morte certa, 25 milioni le persone bisognose di aiuto immediato e sarebbero 150mila i morti, secondo l’inviato speciale degli Stati Uniti per il Sudan Tom Perriello.

Etiopia

L’Eritrea, dopo aver partecipato alla guerra nel Tigray, al fianco delle truppe etiopi, oggi mantiene ancora il controllo di alcune aree a confine, in una sorta di zona cuscinetto. Sebbene abbia firmato la cessazione di tutte le ostilità con Addis Abeba, con tanto di volo diplomatico a cristallizzare lo storico momento, oggi è alle prese con nuove tensioni. Poco più di una settimana fa, a dimostrazione di cosa accade, l’Ethiopian Airlines ha interrotto tutti i collegamenti con l’Aeroporto di Asmara, a dimostrazione di una rottura (pur se parziale) della fiducia reciproca.

Il sospetto, quindi, che le attuali pressioni egiziane fossero mirate alla GERD e alla volontà di ricoprire un ruolo di primo piano nel Corno d’Africa, oggi si palesa come diretto, privo di alcun velo a coprirne gli intenti.

L’Egitto ha voluto calare l’asso, facendo capire all’Etiopia di non avere alcun timore nel giovare il ruolo del protagonista, di essere capace di raccogliere attorno a sé consenso e di sfruttare ogni vuoto giocando la carta della partnership strategica, ma anche quella diplomatica, mettendosi a disposizione per fare da mediatore in Sudan.

Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha dichiarato che le questioni tra Etiopia ed Egitto vengono esaminate a livello regionale, richiedendo all’UA e all’IGAD di fornire tutti gli strumenti utili al caso. Nel frattempo due cicli di colloqui mediati dalla Turchia ad Ankara tra Etiopia e Somalia non sono riusciti a raffreddare le tensioni tra i due paesi.

Se c’è qualcosa che davvero preoccupa gli osservatori, non è tanto uno scontro diretto tra i due paesi, cosa che anche chi scrive ritiene improbabile, piuttosto l’alimentazione delle tensioni interne per procura. Se per l’Etiopia il riempimento definitivo della Grand Ethiopian Renaissance Dam e l’avere accesso al Mar Rosso costituiscono i due capisaldi dell’agenda politica delineata già allora dal Presidente Meles Zenawi e ripresa dal PM Abiy Ahmed, l’influenza etiope nel Corno, la sua preminenza economica e politica può destare particolari pruriti.

 

 

 

 

 

 

 

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