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Etiopia, non ci si può voltare dall’altra parte per quanto sta avvenendo nel Tigray

In Tigray dopo ormai 7 mesi crisi umanitaria, violenze ed abusi non sembrano volersi placare.

La veloce azione di polizia voluta dal democratico premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed Ali per destituire il TPLF – Tigray People’s Liberation Front, il partito che amministrava la Regione del Tigray ed etichettato dissidente dal governo centrale, si è trasformata ufficialmente come guerra iniziata il 4 novembre 2020.

Guerra di repressione etnica verso tutto il popolo tigrino: ufficializzato dal governo etiope il primo maggio 2021 marchiando il TPLF ed i suoi membri trattati come gruppo terroristico e terroristi.

Ogni civile, ogni persona di etnia tigrina quindi è legittimamente sospettato: ogni tigrino può essere fermato, bloccato e schedato per accertarsi della sua persona.

Ci sono stati tigrini in diversi contesti che sono stati ostracizzati, destituiti, licenziati fin dall’ inizio della guerra, tutto in nome della sicurezza nazionale e per cercare democrazia ed unità in Etiopia.

Sono stati presi come target aree di culto ed anche personale religioso: ad inizio maggio è uscito l’ennesimo report che riportava l’ uccisione di almeno 78 sacerdoti.

Report di MSFMedici Senza Frontiere a marzo riportavano che il 70% delle strutture sanitarie erano state saccheggiate, il 30% danneggiate e solo il 13% funzionanti regolarmente.

L’ America di Joe Biden continua a chiedere 3 richieste fondamentali ancora oggi come da mesi a questa parte e per le quali sta ancora attendendo risposta.

Lo sta facendo anche la comunità internazionale.

1. uscita delle truppe eritree occupanti il Tigray;
2. gli operatori umanitari devono poter operare in sicurezza e su tutto il territorio del Tigray per portare supporto ed aiuti a chi ne ha più bisogno;
3. indagini indipendenti, neutrali, indipendenti effettuate da realtà senza alcun conflitto d’interessi e di coinvolgimento col la guerra in Tigray;

Ad oggi le risposte da parte del governo etiope del democratico premio Nobel per la Pace Abiy Ahmed Ali, sono parziali:

1. le truppe eritree (presenti fin dall’ inizio della guerra, ma dichiarate in loco solo a marzo dal PM Abiy sotto forte pressione internazionale) sono ancora presenti sul territorio e sembrano gestire gran parte della situazione; il governo etiope fino ad ora ha risposto con la sua volontà di far uscire l’esercito eritreo, ma non si sono visti ancora segnali significativi dopo i buoni propositi governativi;
2. sono più di 63000 i rifugiati tigrini nel vicino Sudan e secondo l’ONU sono 1,2 milioni di tigrini che stanno affrontando una seria mancanza di cibo, 2 milioni gli sfollati sul territorio del Tigray (150 mila solo a Mekellè). Solo nelle principali città gli ospedali sono operativi, Shire, Adwa, Axum, Mekelle, ma non arrivano a sopperire alle richieste di tutto il Tigray. MSF ha constatato che molti bambini sono in uno stato avanzato di malnutrizione.
3. indagini ed investigazioni per trovare i responsabili e le varie responsabilità dei crimini di guerra e contro l’ umanità, sono solo all’inizio: come dichiarato dal Premier Abiy Amhed Ali queste attività sono già iniziate e portate avanti dalla Commissione per i Diritti Umani Etiope in maniera congiunta con i rispettivi uffici ed agenzie delle Nazioni Unite.

Senza risposte trasparenti e chiare a queste tre richieste il Tigray, il popolo tigrino continuerà a subire violenze dirette ed indirette dettate dalla guerra tra il governo di Abiy e il TPLF: secondo la maggior parte di report e testimonianze i maggiori portatori di violenze ed abusi sarebbero l’esercito ENDF e le truppe dell’ amica Eritrea.

Anche se il Tigray è rimasto sotto attacco per mesi e sconnesso totalmente dal resto del mondo, senza corrente e senza linee telefoniche e dati attivi, i primi report ed i report che continuano a trapelare danno visione di una situazione orribile e disumana.

L’augurio per tutti è che le indagini indipendenti su citate possano il prima possibile fare chiarezza per il bene di ogni singolo civile, persona coinvolta in questa orribile guerra, portando alla luce responsabili e responsabilità: nel contempo le iniziali ipotesi di crimini di guerra e contro l’umanità sono concrete e reali.

Stupri e fame come armi di guerra: stiamo guardando molto probabilmente solo la punta dell’ iceberg.

Il Patriarca della Chiesa Ortodossa in Etiopia è riuscito a far sentire la sua denuncia attraverso un video in cui dichiarava che dopo mesi di censura governativa è riuscito a parlare del genocidio che sta avvenendo in Tigray.

Don Mussie Zerai, presidente dell’Agenzia Abesha, ha recentemente dichiarato in un’intervista a S.I.R. Società Informazione Religiosa:

L’uso criminale dello stupro come arma di guerra, che non ha risparmiato minori e suore, è un abominio”

Ed aggiunge:

Il diritto dei più vulnerabili e dei più deboli non è un diritto debole! Nessuno può dire: non lo sapevamo”

In tutto questo contesto qualche settimana fa è partita la campagna “Giù le mani dall’ Etiopia” da parte di personaggi influenti e di spicco filo governativi etiopi: la campagna è stata creata per contrastare le intimazioni e restrizioni avanzate dagli USA per cercare di sedare la crisi disumana in Tigray.

L’ America di Joe Biden oltre le 3 richieste fondamentali ha intimato di bloccare visti ed aiuti a diplomatici etiopi fin tanto che la situazione in Tigray non si sblocca.

Domenica 30 maggio sono scesi in strada a manifestare circa 10.000 etiopi per dichiarare apertamente la loro contrarietà verso gli USA. Alcuni degli slogan che si potevano leggere su cartelli e striscioni: “USA mostraci la tua neutralità”, “L’Etiopia non ha bisogno di un custode”, “Riempi la diga” (inerente alla Grand Ethiopian Renaissance Dam – disputa decennale tra Etiopia, Egitto e Sudan per la gestione delle acque del Nilo Azzurro).

Alla manifestazione organizzata dal Ministero della Gioventù, il sindaco di Addis Ababa Adanech Abebe ha detto:

“Non ci inginocchieremo mai. Le precondizioni e le restrizioni di viaggio da parte degli Stati Uniti e dei loro alleati sono completamente inaccettabili. Devono essere corrette”

Invece in Europa ed in Italia la diaspora tigrina si é mobilitata con l’ennesima campagna social via Twitter per chiedere azioni pratiche all’ Europa.

L’ Europa risponde con Svezia, Norvegia, Danimarca, Francia e Germania che si sono uniti agli USA e hanno preso posizione rivendicando ed impugnando le 3 richieste fondamentali nei confronti del governo etiope.

Mentre l’ Italia si fa attendere: si aspetta ancora conferma sull’ ultima dichiarazione di fine marzo da parte di Mistretta che dichiarava “Ipotesi di viaggio del Ministro degli esteri Luigi Di Maio in Etiopia”: non ci sono ulteriori aggiornamenti in merito.

L’ ambasciata italiana ad Addis Abeba però il 3 giugno condivide un comunicato in cui dichiara che sono stati stanziati 400.000 euro nell’ambito del progetto “Supporting Elections for Ethiopia Democracy Strenghtening – SEEDS”. Lo scopo?

L’obiettivo comune è di contribuire alla trasparenza ed inclusività del processo elettorale, rafforzando le capacita’ della NEBE (National Electoral Board of Ethiopia), che ha il compito di organizzare le Elezioni Generali del 21 giugno e, in ultima analisi, di contribuire al rafforzamento delle Istituzioni democratiche etiopiche.”

L’ Italia, primo Paese europeo per rapporti ed interessi economici con l’ Etiopia, con questa azione vuole cercare di esportare la democrazia in Etiopia, per un’ Etiopia unita come quella tanto ricercata dal Premier Abiy Amhed Ali, nonostante tutto e tutti.

Lo stesso giorno la conferenza del governo etiope per portare aggiornamenti sulla situazione in Tigray: è stato dichiarato che alcuni casi di massacri, uccisioni ed abusi di genere riportati nei report di varie realtà internazionali sono stati confutati e confermati da parte della Commissione dei Diritti Umani Etiope e da forze di polizia sul territorio dopo aver confrontato decine di testimonianze ed imputando responsabilità a qualche decina di soldati: sono stati un po’ vaghi anche rispondendo alle domande specifiche dei pochi giornalisti in sala in quanto. Come dichiarato, vogliono parlare e basarsi su fatti analizzati per poter giudicare e trovare i reali responsabili: per ora le attività investigative sono all’ inizio ed hanno pochi dati e riscontri, per cui vogliono aspettare prima di esporsi con accuse e sentenze.

Si apprende dal The Guardian che lo stesso governo del PM Abiy respinge le richieste di cessate il fuoco in Tigray, sostenendo che la vittoria è vicina. La precedente dichiarazione di vittoria sul TPLF l’aveva data a fine novembre 2020 quando aveva esplicitatoche era riuscito a prevalere sul partito politico dissidente e che l’azione di polizia aveva avuto un esito positivo: purtroppo come sappiamo, la guerra, il conflitto e la crisi umanitaria si sono protratti fino ad oggi e non sembrano placarsi in breve tempo.

La negazione del cessate il fuoco da  parte del governo etiope, solo per la speranza e l’ipotesi di bloccare in maniera definitiva il TPLF non sembra essere soluzione plausibile visto le premesse.

La crisi in Tigray coinvolge ormai tutta l’Etiopia e sta destabilizzando il Corno d’Africa: la pace per il popolo del Tigray e per l’ Etiopia alla ricerca dell’ unità purtroppo non sembra avere ancora una fine vicina.

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