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Etiopia, inchiesta sull’uccisione di tre operatori di Medici Senza Frontiere

Il 24 Giugno 2021 María Hernández, Yohannes Halefom e Tedros Gebremariam, tre operatori di Medici senza Frontiere, furono barbaramente uccisi nel Tigray, in Etiopia. Un viaggio quello dei tre, all’interno dei luoghi segnati dalle battaglie, alla ricerca di feriti e morti di cui prendersi cura.

María Hernández. ©Médecins Sans Frontières

Non erano dei novellini, Maria, 35 anni, originaria di Madrid era una veterana di zone di conflitto, aveva lavorato già nella Repubblica Centrafricana, in Yemen, Messico e Nigeria; Yohannes, 32enne, era un medico etiope unitosi al team di MSF nel Febbraio precedente e il loro autista Tedros, 31 anni, conosceva bene la zona, i pericoli e le dinamiche sul campo, aveva cominciato a lavorare per l’Ong nel mese di Maggio.

Yohannes Halefom. ©The New York Times

Dopo poche ore dalla loro partenza dalla zona di Abiy Addi, dove avevano lavorato per mettere in piedi una clinica sanitaria di emergenza, dopo la distruzione dell’ospedale civile da parte delle truppe eritree, ogni tentativo dei colleghi di mettersi in contatto con loro andavano a vuoto.

Nessuno rispondeva più al satellitare, il rilevatore di cui era dotata la macchina segnalava un’inversione ad “u” dell’automobile, poi nessun altro movimento, forse un ultimo tentativo di Tedros di scampare il pericolo.

Furono trovati il giorno dopo sul ciglio della strada, crivellati di colpi, con la faccia rivolta a terra, la macchina data alle fiamme.

Nell’arco di questi mesi, più volte Medici senza Frontiere ha chiesto alle autorità di investigare sulla loro morte, denunciando il fatto come “un brutale omicidio”. Tentativi fino ad oggi andati a vuoto, anche se il contesto e gli elementi ricostruiti portassero ad un’evidente responsabilità delle truppe dell’ENDF, l’esercito regolare etiope.

Una nuova inchiesta del New York Times ha aggiunto importanti elementi nella ricostruzione delle loro ultime ore e soprattutto sulle cause e sui responsabili della loro uccisione.

I tre, secondo le testimonianze raccolte dal NYT, tra gli investigatori, soldati dell’esercito e responsabili di Ong, sarebbero stati uccisi perché trovati in una zona “attiva” di combattimento, per ordine di un comandante che avrebbe dato “l’ordine di eliminazione” via radio.

“Finiscili”, questa sarebbe stata la parola che ha determinato la loro morte, ha riferito il Capitano dell’ENDF Yetneberk Tesfaye, che ha detto di aver sentito chiaramente il comando alla radio. Il Capitano, appartenente alla 31ma Divisione dell’Ethiopian National Defence Force, ha riferito inoltre che i tre sono stati uccisi mentre erano a terra, con le mani sulla testa, probabilmente già feriti, una vera e propria esecuzione.

Gli operatori di MSF dopo essere stati fermati, sono stati interrogati per circa 45 minuti, poi la situazione è precipitata, ai soldati sembrava non bastare l’ufficialità del badge, della macchina, della bandiera dell’organizzazione umanitaria.

Per analizzare la tensione del momento, c’è da sottolineare come la provenienza da Abiy Addi, che l’ENDF aveva abbandonato due giorni prima a causa dell’avanzamento delle truppe tigrine del TDF, aveva messo sotto pressione le truppe dell’esercito etiope, esacerbando ulteriormente gli animi delle truppe.

La squadra, ha riferito un operatore di MSF, durante il tragitto tra bossoli e crateri, aveva già trasportato sei feriti (sia militari che vicili) presso l’Ospedale ed era ripartita alla ricerca di altre vittime.

Poco dopo le 15.00 il Land Cruiser su cui viaggiavano, a 1,5 km dal villaggio di Sheweate Hugum, è arrivato in prossimità di un convoglio dell’ENDF, comandato dal colonnello Tadesse Bekele, della 31ma Divisione. Secondo i soldati che hanno testimoniato, il colonnello avrebbe dato l’ordine di sparare sulla macchina; colpi che hanno colpito il fuoristrada e che hanno costretto i tre a saltare fuori dall’abitacolo per cercare riparo.

Gli operatori sono stati fermati, perquisiti e interrogati dai soldati, che hanno pensato di doverli trarre in arresto. Quando, con le mani alzate, i tre venivano portati dal colonnello Bekele, lo stesso ha tuonato alla radio perché glieli stessero portando, ordinando di “finirli”.

Il capitano Girmay Moges (detenuto nel carcere di Mekelle insieme agli altri cinque che hanno testimoniato al NYT) ha riferito che era posizionato a circa 50 metri dagli operatori umanitari e di aver assistito a quello che è successo dopo pochi istanti: “Tre o quattro soldati li hanno uccisi”.

L’azione fu ordinata dal comando della colonna, i soldati sapevano che l’uccisione di operatori umanitari avrebbe avuto conseguenze negative sulla loro immagine e sulle loro responsabilità. “I soldati non avrebbero intrapreso quell’azione se non fosse stato loro ordinato di farlo”, ha sottolineato Girmay Moges.

Dopo la loro uccisione, per togliere di mezzo ogni prova, avevano dato alle fiamme il Land Cruiser, con un Rpg. Poi il convoglio aveva ripreso il suo viaggio verso sud, cadendo in un’imboscata del TDF presso la città di Yechila, dove il comandante Tadesse Bekele fu ucciso e i soldati catturati e portati a Mekelle.

© The New York Times
Oggi Medici senza Frontiere non opera più nel Tigray, il prezzo pagato è stato troppo alto e le precarie condizioni di sicurezza non permettono all’Ong di operare, l’Ospedale di Abiy Addi è stato abbandonato dopo che gli operatori sanitari sono stati picchiati, incarcerati e interrogati dalle truppe eritree, piombate presso il presidio convinte di trovarvi delle spie straniere.

Un prezzo altissimo pagato in nome della solidarietà, quello pagato da MSF. Lo stesso prezzo pagato dai tanti operatori, laici e religiosi, impegnati nel paese, al netto delle accuse del governo di trasferire armi o denaro al Tplf, accusa che ha portato per esempio all’arresto di alcuni sacerdoti e suore, a sospendere le operazioni del Consiglio norvegese per i rifugiati, ad espellere 7 funzionari dell’Onu.

Oggi l’Etiopia è maglia nera sul fronte della cooperazione. Sono 24 gli operatori umanitari uccisi dall’inizio della guerra, incalcolabili coloro che hanno subito molestie, arresti ed intimidazioni.

Il Tigray rimane inaccessibile agli aiuti umanitari, dove 5,2 milioni di persone necessitano di immediato supporto sanitario, di cibo, del ripristino delle operazioni bancarie e della riattivazione dei servizi telefonici. Una situazione andata ulteriormente a deteriorarsi a causa della siccità, degli sfollati interni e dell’apertura di altri fronti di battaglia, come nella regione Afar e nella regione Ahmara.

Oggi le tombe di Maria, a Sanchotello e quelle di Yohannes e Tedros vicino le loro case, nel Tigray, sono avvolte nel silenzio. Un silenzio meritato, che merita tutta la nostra sensibilità ed il nostro rispetto; un silenzio che però non può e non deve calare sul loro assassinio.

 

 

 

 

 

 

 

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