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Etiopia, ci sarà mai pace e unita nel Tigray?

Ieri, 8 giugno 2021, è stata organizzato un webinar dedicato a parlare di Tigray e della situazione umanitaria che ha coinvolto da 7 mesi a questa parte tutta la popolazione tigrina destabilizzando nel contempo la nazione Etiopia con ripercussioni su tutto il Corno d’Africa.
Questo incontro online aveva la finalità di condividere testimonianze dirette con chi voleva saperne di più e nel contempo voleva alzare l’attenzione dal punto di vista umanitario.
In un territorio, quello tigrino, dove ancora non c’è la possibilità da parte delle realtà umanitarie di operare in totale sicurezza e dove non riescono ancora a raggiungere gran parte delle zone rurali in cui risiedono persone bisognose di aiuti medico ed alimentare: causa principale i blocchi ed vari ceckpoint di soldati. La vera priorità oggi è riuscire ad assicurare questi aiuti alla maggior parte delle persone che richiedono soccorso.
La vita è un diritto fondamentale di tutti ed in quanto tale dobbiamo cercare di preservarlo con tutte le nostre forze e prima di ogni altra cosa.
Purtroppo la live di ieri iniziata con questi buoni propositi, col messaggio iniziale di Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia e collaboratore di Focus on Africa, alla fine è sfociata in mera tifoseria, un’azione dai toni prettamente di taglio politico estremo, con cori da stadio da parte di alcuni “personaggi” che hanno cercato di screditare chi voleva parlare in maniera pacata e costruttiva.
Grazie a questa azione aggressiva di puro e semplice attacco fazioso, cercando di aggredire invece che lasciar parlare in maniera democratica, anche l’ organizzatore Umberto Marin – Chiama L’Africa si è visto costretto ad un certo punto ad alzare i toni per cercare di mediare e sedare gli animi.
Personalmente come attivista ospite e come collaboratore di Focus On Africa, per tutelare la mia persona, ma anche tutto il lavoro del team e della redazione del magazine di Antonella, esplicito la mia volontà di dissociarmi totalmente da queste persone che nulla hanno a che fare con le parole democrazia e discorsi di pace.
Mi dispiaccio per l’ennesima mancata occasione per cercare di contribuire insieme alla causa, ovvero quella di aiutare un popolo in difficoltà.
Per approfondimenti e presa visione di quanto accaduto questo è il link alla registrazione del webinar.
L’accaduto di ieri purtroppo è metafora e rappresentativo di quello che sta accadendo oggi, ormai da 7 mesi a questa parte, in Tigray.
Questo conflitto, è l’ennesima guerra per rivendicazione di interessi, siano loro potere, territorio o rivalsa verso un altro popolo o etnia e dall’altra la difesa del proprio diritto alla vita nel rispetto ed in pace.
Solo chi ha il potere di investigazione ed approfondimento e gli organi di legge preposti potranno dare giudizio sulle responsabilità ed incriminare i responsabili dei crimini di guerra e contro l’umanità perpetrati e segnalati dai vari report usciti in questi mesi, in primis quelli di Amnesty.
Non era né il contesto della live né tanto meno i presenti all’ incontro a potersi arrogare il diritto per confutare, indagare e dare giudizi su tali tematiche perché semplicemente non si avevano i termini e tutte le informazioni per farlo.
Invece i riflettori debbono andare alla situazione in Tigray che si è stabilizzata, ma in una condizione umanitaria altamente grave: sembra una cantilena, ma fame e stupri sono ormai identificati da mesi come armi di guerra.
Ci sono oggi, più di 63000 rifugiati tigrini in Sudan, milioni di sfollati interni tra cui anche rifugiati eritrei già presenti in Tigray prima della guerra del novembre 2020, le strutture sanitarie, gli ospedali a detta di MSF – Medici Senza Frontiere sono stati danneggiati per l’80% del totale e si fa sempre più viva l’ipotesi di carestia: gran parte dei campi e dei raccolti sono stati bruciati, distrutti, saccheggiati e il bestiame rubato o ammazzato. Bisogna anche considerare l’infestazione di locuste del 2020 che ha arrecato molti danni alle attività agricole e l’avanzare della stagione delle piogge, nota negativa per i raccolti e quindi per la sussistenza delle persone nel prossimo futuro.
Attuale è ancora la repressione etnica dei tigrini da parte del governo centrale del democratico premier Nobel per la Pace Abiy Ahmed Ali, da lui dichiarata come azione per la sicurezza e la stabilità nazionale.
I primi segnali si sono visti con l’ inizio della guerra aperta ufficialmente il 4 novembre 2020: lo stesso governo ha ufficializzato il 1 maggio 2021 che il TPLF, partito amministratore del Tigray, ed i suoi membri siano trattati alla stregua di organizzazione terroristica e terroristi con tutte le conseguenze normative del caso.
Tutti i tigrini oggi in nome della sicurezza e stabilità nazionale, sono sospetti e per questo in maniera indiscriminata possono essere fermati, schedati, incarcerati in attesa di approfondire i loro connotati. Uno dei tanti casi degni di nota è la recente deportazione di qualche centinaio di civili sospettati di essere fazioni anti governative infiltrati nei campi di rifugiati interni a Shire e che abbiamo segnalato in un precedente articolo.
Nel contempo sul piano della situazione prettamente politica, la ricerca della democrazia tramite le elezioni tanto sperate dal governo etiope, sono state spostate per l’ennesima volta dal 5 al 21 giugno in quanto non c’era l’attuabilità di poterle organizzare in tal data a detta del NEBE – National Election Board of Ethiopia (questa è la seconda volta che vengono spostate: elezioni che originariamente erano previste per il 29 agosto 2020, ma per causa della pandemia furono rimandate).
Queste elezioni sono per Abiy ed il governo etiope sinonimo di strumento per la democrazia, quella che anche l’ Italia ha voluto cercare di esportare in Etiopia finanziando le prossime votazioni con 400.000 euro, dopo ormai mesi di alcuna dichiarazione e presa di posizione esplicita nei confronti della situazione in Tigray.
Al contrario di altri Paesi come Svezia, Danimarca, Norvegia, Francia e Germania che si sono aggregati alle richieste degli USA di Joe biden e della comunità internazionale per 3 richieste fondamentali:
– far uscire i soldati eritrei occupanti il Tigray (una delle variabili più destabilizzanti per la guerra e le violenze secondo tanti report ed analisti);
– poter far operare le realtà umanitarie in sicurezza in tutto il territorio del Tigray, anche nelle zone più decentrate e rurali;
– richiesta di indagini ed investigazioni indipendenti da parte di realtà neutrale.
Il governo etiope in una recente conferenza stampa ha aggiornato con i primi risultati di queste attività investigative. Tali attività portate avanti dalla Commissione dei Diritti Umani etiope in maniera congiunta con il relativo ufficio delle Nazioni Unite sono solo all’inizio e a quanto pare hanno prodotto per il governo ancora poche confutazioni e risultati riguardo ai massacri, agli stupri ed agli altri crimini denunciati nei vari report e per questo non si sentono in grado di esporsi maggiormente in dichiarazioni, attendendo ulteriori informazioni.
Inerente alla ricerca della democrazia voluta da Abiy per un’ Etiopia unita, il Tigray è solo una delle variabili in gioco.
Come argomento non trattato dalla maggior parte dei media italiani, mesi fa ci sono state rivendicazioni a sfondo etnico tra Oromo ed Amhara nelle relative aree territoriali, riportando scontri e uccisioni. Poco traspare per poter avere e condividere dettagli per una visione più trasparente: si ipotizzano conflitti che vogliono essere tenuti in silenzio forse per pura strategia da parte di chi ha sferrato gli attacchi.
Conseguenza di queste rappresaglie e uccisioni a sfondo etnico, ci sono state delle manifestazioni in strada da parte della comunità Amhara per denunciare l’inattività governativa di Abiy per fermare quei massacri.
Nel contempo parte degli oromo recentemente hanno voluto impugnare il diritto di boicottare le prossime elezioni in quanto gran parte dei loro leader sono in carcere e denunciano che le elezioni così organizzate sono una farsa.
Assumendo che anche in Tigray, vista l’attuale situazione di grave crisi umanitaria, di guerra e dichiarata Regione in stato d’emergenza, non è certa la possibilità di avere un voto libero e democratico.
Con questo presupposto si può ipotizzare che le prossime elezioni sono solo un pretesto, o meglio una forzatura per cercare di riappianare la situazione socio-politica in Etiopia sperando di conquistare da parte dell’ attuale governo la tanto sperata democrazia ed unità.
In tutto questo i civili in Tigray o meglio, tutte quelle persone che stanno subendo gli effetti della guerra, le violenze, gli abusi e la repressione sono presi in mezzo a tutti questi fuochi, aspettano solo aiuto e supporto.
Bisogni urgenti che ormai da qualche mese il governo etiope ha intimato di fornire con le sue poche risorse in gioco cercando di sopperire al bisogno umanitario urgente ed aiuti medici ed alimentari che anche da parte di tutte quelle realtà umanitarie presenti in Tigray stanno cercando di distribuire operando ogni giorno in stato di insicurezza e che arrivano a fornire solo poco e parzialmente sul territorio perché ostacolati su più fronti.
La democrazia e la pace devono essere condivisi per essere raggiunti.
Bisogna che da parte di tutti i coinvolti, siano essi ospiti di un webinar o pedine politiche col potere decisionale, ci sia la volontà di perseguire questi obiettivi e che non restino solo buoni propositi e messaggi di propaganda.

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