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Egitto, nasce un movimento ‘Me Too’. Decine di denunce e l’arresto di un molestatore

Il caso di un molestatore seriale ha innescato una nascente versione egiziana del movimento “Me Too” americano alimentato da denunce più o meno formali e anche da un disegno di legge in favore delle donne in un Paese, come l’Egitto, piagato culturalmente dagli abusi sessuali. La molla è stato l’arresto di un giovane di 22 anni, Ahmed Bassam Zaki, incarcerato questo mese dopo che più di cento testimonianze erano stato postate su Instagram da parte di ragazze e donne che lo accusavano di averle forzate a mandargli foto di nudo o di fare sesso con lui. Le denunce sostenevano che il giovane le costringeva con un misto di ricatti e minacce. In sei, tra cui una minorenne, sono arrivate a sporgere denuncia alla polizia, facendo scattare la custodia cautelare per tentato stupro, molestie sessuali e ricatto, accuse che Ahmed ha fatto respingere dal padre. Il caso, reso rilevante dall’elevata posizione sociale del giovane e delle sue vittime, ha innescato anche circa 400 lagnanze al Consiglio nazionale per le donne, un’istituzione affiliata alla presidenza della Repubblica. Inoltre è coinciso con la presentazione di un disegno di legge che garantisce l’anonimato a chi denuncia abusi sessuali. Il fenomeno delle molestie e abusi è notoriamente diffuso in Egitto ma sono pochi e relativamente poco vasti gli studi che aggiornino quello Onu: nel 2013 aveva rilevato come tutte le donne egiziane (99%) hanno sperimentato nella loro vita una qualche forma di abuso, da quelli verbali allo stupro, e la maggior parte non si sentivano sicure girando per strada (era l’anno della Fratellanza musulmana al potere dopo le turbolenze rivoluzionarie che portarono alla caduta del presidente autocrate Hosni Mubarak nel 2011). Inseribile in questa sorta di nascente movimento innescato dal caso del giovane molestatore è anche un recente pronunciamento di Al-Azhar, il massimo centro teologico dell’islam sunnita, basato proprio al Cairo, il quale ha stabilito che a una vittima di violenza sessuale non debba essere rinfacciato come andasse vestita. Un’affermazione quasi ovvia ma che non lo è in un Paese dove le donne senza velo islamico sono definite talvolta “dolcetti senza involucro” che attirano i mosconi. Le molestie sessuali sono un reato dal 2014, l’anno dell’avvento del presidente Abdel Fattah al-Sisi, ma ci sono ancora resistenze della polizia ad accogliere denunce e, a livello sociale, le vittime continuano ad essere stigmatizzate come corresponsabili. Sui media di recente hanno avuto risalto anche l’arresto di un noto editore per la denuncia di una donna e di un responsabile di un gruppo per la tutela dei diritti umani licenziato dopo aver ammesso di aver molestato donne.

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