Inaugurato in pompa magna nel settembre 2021, descritto come una “prigione modello”, il centro di detenzione egiziano di Badr racconta tutta un’altra storia.
In quell’inferno sulla terra, situato 70 chilometri a nordest del Cairo, le celle sono gelide, le luci al neon sono costantemente accese, le videocamere di sorveglianza sono puntate contro i detenuti, non vi sono forniture sufficienti di cibo, vestiario e prodotti igienici ed è vietato inviarli dall’esterno. Non è consentito leggere libri.
Negli ultimi dieci giorni 55 detenuti di Badr 3 hanno tentato il suicidio, come forma estrema di protesta contro le durissime condizioni detentive e il prolungato divieto di incontrare familiari e avvocati.
A uno di coloro che hanno tentato di uccidersi era stato negato il permesso di contattare i familiari i Turchia, residenti in uno dei centri colpiti dal terremoto.
Altri detenuti hanno iniziato uno sciopero della fame: tra loro il poeta Galal el-Behairy, il paroliere del cantante in esilio Ramy Essam, in carcere a Badr 1 da cinque anni per il testo del brano “Balaha”, che irrideva al presidente al-Sisi. Il 5 marzo ha annunciato la decisione di smettere di mangiare e, gradualmente, di cessare di assumere pillole per il cuore, antidepressivi e liquidi.
A Badr 3 è già da giorni in sciopero della fame il quasi ottantenne leader della Fratellanza musulmana, Mohamed Badie.