Le recenti vicende che hanno riguardato la comunità afroamericana hanno sollevato una questione che si propone di frequente nel mondo occidentale, ogni volta che accadono episodi d’intolleranza fra individui di razza diversa, con conseguenze spesso tragiche. Viviamo in una società razzista? Che posto occupa oggi questo modo di sentire nella vita quotidiana?
Il razzismo è un sentimento atavico che affonda le radici nella preistoria dell’umanità e rammenta l’arcaica diffidenza verso tutto ciò che, essendo nuovo, estraneo, diverso e sconosciuto, rappresenta una fonte di pericolo da trattare con cautela finché non si riesca a neutralizzarlo. Un istinto primordiale che è servito a difendere i nostri antichi progenitori dai pericoli di un mondo inesplorato che ne metteva continuamente a rischio la vita.
Diventati Dei i vulcani, i mari, il sole e la luna, la guerra e l’amore – non meno rischiosi – e semidei i fiumi, i monti e le selve, le aurore e i venti – tutte divinità imperscrutabili nelle cui mani stanno i destini del mondo, da rabbonire con offerte e sacrifici per guadagnarne il favore – restavano gli uomini i fattori di rischio da cui guardarsi. Gli sconosciuti, dai quali non si può sapere – appunto perché tali – che cosa aspettarsi.
Gli stranieri, intanto. Gente che vive in altri climi, che ha aspetto e costumi diversi, onora altri dei e parla lingue incomprensibili. I Barbari, appunto. Ossia “I balbettanti”, questo essendo il significato del termine nella lingua degli antichi Greci, che l’hanno coniato ravvisando nella incomprensione linguistica il primo segnale di estraneità. Se non di inferiorità, per la sottile nota di scherno che la denominazione vi aggiunge. Gente di cui tutto si ignora e che tutto ignorano di noi salvo – essendo appunto di genere inferiore – bramare di impossessarsi dei beni che ci appartengono. Terre, ricchezze e vita, per difendere i quali non bastano i confini geografici. Nemici, dunque, da cui difendersi con ogni mezzo. Gli stessi Barbari da cui si è difeso l’Impero Romano fino a cadere sotto la loro inarrestabile pressione. E da guardare sempre con sospetto anche in periodi di pace, perché rimangono, comunque, degli stranieri. Sentimentalmente ostili e perciò inaffidabili.
Ma non solo loro. La categoria istintiva della paura – poiché di questo si tratta – che con le sue ombre nascoste nelle fragilità dell’esistenza accompagna la vita durante tutti i suoi anni, include fra i suoi eccessi – oltre al razzismo – il sessismo, il classismo, l’intolleranza d’ogni sorta e il fanatismo nelle sue molte, drammatiche sfaccettature cui ci ha abituato la storia.
Il minimo comune denominatore di tutte queste manifestazioni, infatti, è sempre l’allarme che qualcosa di cui si ignorano la natura, il genere e il carattere provoca negli esseri umani, suscitando in loro insicurezza e timore per l’integrità della propria persona – sia nella dimensione fisica che in quella psicologica – e il desiderio impellente di cancellare la causa che la determina, eliminandone la pericolosità ravvisata.
Siano persone di etnia diversa – portatori di culture, costumi e fedi alternative e concorrenti – siano persone di sesso diverso – appartenenti a universi paralleli, insondabili per alcuni – siano individui che fanno parte di classi sociali di cui non piacciono la mentalità e i costumi, o siano persone di fede diversa – nella religione come nella politica – tutti quanti sono una potenziale fonte di insicurezza, perché possono entrare in conflitto con i valori in cui crediamo e su cui si fondano le certezze della nostra vita. Facendoci sentire smarriti e inermi, incapaci di controllare gli eventi e senza altro soccorso che quello dell’istinto e delle sue reazioni difensive. Pronti all’odio, se queste reazioni vengonorepresse senza convinzione.
Il razzismo è diventato il termine comune per dare un nome a atteggiamenti di intolleranza sociale nei confronti di persone di etnia diversa presenti nel nostro Paese. Africani, soprattutto, ma anche mediorientali e asiatici. In realtà non è la razza l’elemento discriminante del comportamento sociale tenuto. Ogni occidentale, infatti, è un amalgama di antiche razze fuse attraverso una serie di incroci senza limite di cui non ha più il ricordo e che non è affatto in grado di ravvisare nelle sembianze proprie e altrui. Sono altri i fattori che intervengono nella percezione di una alterità conflittuale, attribuita impropriamente alla differenza razziale.
Intanto, lo status sociale delle persone. L’insicurezza che il proprio mondo venga insidiato da individui di altra etnia e nazionalità, arrivati nel nostro Paese in modo disordinato e talvolta illegale, i quali – spinti dal bisogno e non essendo vincolati ai nostri stessi codici culturali – possano verosimilmente compiere azioni che danneggino la sua abituale normalità.
Il fatto che l’aspetto fisico, la lingua parlata e l’abbigliamento li rendano subito riconoscibili come persone provenienti da regioni geografiche diverse, fa sì che l’atteggiamento di sospetto nei loro confronti vengaetichettato come razzismo, scambiando l’effetto per la causa.
Il loro rifiuto non è causato, infatti, dall’etnia cui appartengono, ignota ai più, ma dal timore inconscio che altri, stranieri fuori della sfera sociale in cui si svolge la nostra vita, possano interferire con essa e restringerla o invaderla fino a sconvolgerla. Insediandovi, magari, costumi considerati intollerabili o sottraendoci benefici prima goduti in piena sicurezza.
L’abbinamento con l’aspetto è solo il segnale che rende riconoscibili questi nuovi Barbari – che tali inconsciamente appaiono nell’immaginario collettivo, pur se il nome ha oggi un suono antico – finché sussiste il timore che rappresentino un’insidia o una minaccia per il proprio status socio-culturale. Quand’anche si tratti dei nostri stessi connazionali, magari solo di regioni diverse.
Una volta integrati nel sistema sociale e assimilati nei costumi e nella mentalità, nessuno presta più attenzione alla loro fisionomia che anzi diventa, in alcuni casi, una variante apprezzata. Nella moda, nel settore del lusso, nel cinema e nella musica, nella politica, per esempio, l’origine africana o la fisionomia esotica sono un valore che aggiunge una piacevole nota di cosmopolitismo all’ambiente. Così come avviene in ogni altro ambito che non soffra l’incertezza o il senso di precarietà della posizione occupata nel sistema sociale e non avverta la necessità di difenderla con qualunque mezzo da intrusioni paventate tali.
È evidente che spetta alle Istituzioni fornire quel genere di rassicurazioni che servono a contrastare gli episodiimpropriamente detti di razzismo. Ed è loro compito creare le condizioni migliori per evitare che la paura inconscia di ciò che appare altro da sé – nella fisionomia o nel sesso, nei comportamenti o nelle idee, nei valori o nei desideri – impedisca alle persone di ragionare con obiettività e le spinga a adottare comportamenti dannosi per sé e per gli altri. Nella piena consapevolezza che certi fenomeni appartengono a dinamiche umane di cui la storia è la sola ragione e l’unica causa. E che non possono essere risolti con la forza senza incrementare reazioni di odio represso, quasi più pericolose, per la vita civile, delle manifestazioni d’insofferenza da cui il conflitto interpersonale ha avuto origine.
È dovere delle Istituzioni vigilare e agire con saggezza e intelligenza affinché atti efferati e violenti di cosiddetto razzismo non degenerino in azioni altrettanto violente edefferate di anti-razzismo. Evitando che abbia inizio il gioco perverso dei riflessi rimandati da uno specchio culturale che va in frantumi e del quale è, poi, impossibile raccogliere i pezzi senza ferirsi.