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Diritti: Mounir Baatour, il primo candidato gay alle presidenziali della Tunisia, si è sposato a Marsiglia

Mounir Baatour ce l’ha fatta: il 19 dicembre ha finalmente sposato l’umo che ama da dieci anni e con cui è stato incarcerato in Tunisia, con l’accusa di “sodomia”. Mounir Baatour è tra gli attivisti LGBT+ più famosi del Maghreb e del mondo arabo-musulmano, un avvocato 52enne tunisino che nel 2019 si è candidato alle presidenziali del suo Paese, primo candidato apertamente gay al mondo a presentarsi ad un’elezione di un Paese musulmano, ma che dal 2020 è rifugiato politico in Francia.

Con un post su Facebook e con un Tweet, ha dato la bella notizia:

Ieri è stata una giornata memorabile per me. Ora sono un fresco sposo di fronte a Marianne e alla Repubblica francese. Sposato con l’uomo che amo da quasi 10 anni. Quello con cui ho attraversato le barbare prigioni tunisine.
Probabilmente il primo matrimonio gay tra tunisini.
Ma non solo. Ieri è stata una giornata storica per tutti i gay arabi, berberi, turchi, curdi…
Una giornata piena di felicità per me è anche un messaggio di speranza per i milioni di coloro che sperano.
Nel Maghreb, in Medio Oriente, e ovunque in questo mondo arabo-musulmano che non sa riformarsi.

Baatour fu arrestato nel 2013 e incarcerato per 3 mesi, ma nel 2015 co-fondò l’associazione “Shams”, che si occupa dei diritti LGBT, soprattutto per la depenalizzazione dell’omosessualità in Tunisia. Successivamente, nel 2018, ha ricevuto il premio Idaho France per la libertà per la sua lotta contro l’omofobia, insieme ad Alice Nkom, la prima avvocata camerunense, che si occupa anch’essa principalmente della difesa dei diritti LGBT.

Il grande salto nel dibattito pubblico tunisino, tuttavia, c’è stato l’8 agosto 2019, quando Baatour ha annunciato la sua partecipazione alle elezioni presidenziali del suo Paese, generando molta curiosità internazionale, ma anche tanto attivismo nazionale; infatti, la sua campagna ha potuto contare sul contributo di almeno 300 volontari. Il suo programma politico prevedeva l’abrogazione dell’articolo 230 del codice penale tunisino (derivante da quello coloniale francese), che vieta l’omosessualità, ma anche la promozione dell’uguaglianza di genere e la tutela dei diritti delle minoranze. Tuttavia, sebbene avesse raccolto il doppio delle 10.000 firme richieste per la candidatura, l’autorità elettorale tunisina respinse la sua candidatura senza fornire motivi plausibili. Per questa esposizione, ha ricevuto molte minacce di morte dagli islamisti, per cui nel gennaio 2020 Baatour è fuggito in Francia, dove ha ricevuto lo status di rifugiato politico. Oggi vive a Marsiglia, dove è avvocato presso il foro della città (dal 2 novembre 2021):

In un’intervista al quotidiano britannico “The Independent”, nell’estate del 2019, quando presentò la sua candidatura alle presidenziali, Baatour spiegò che l’omosessualità in sé non è illegale in Tunisia; tuttavia, lo è il praticarla, per cui, grazie a questa distinzione lui riuscì a registrare la sua associazione e il suo partito liberale: “Tutto questo è figlio della rivoluzione tunisina. Negli anni immediatamente successivi al 2011 sono emersi numerosi gruppi per i diritti dei gay che chiedevano l’abrogazione delle leggi anti-omosessuali”.

Tuttavia, aggiunge l’Independent, ad un certo punto si è creata una frattura all’interno della coalizione tunisina per i diritti LGBT perché, sostiene Baatour, lui è aperto alle relazioni con Israele, che per buon parte della sinistra tunisina resta un tema inaccettabile. Al di là di questo, la depenalizzazione dell’omosessualità è ancora un tabù in Tunisia, dove è accettata solo dal 7% dei cittadini, secondo un sondaggio del 2019 dell’istituto Arab Barometer.

Baatour si definisce come musulmano non praticante e tiene a sottolineare che la sua idea non è di “promuovere l’omosessualità”, ma “solo di depenalizzarla”: “I gay non fanno del male a nessuno. Dovrebbero essere liberi di fare ciò che vogliono con i loro corpi”.

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