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Darfur, un massacro durato 17 anni. 300 mila vittime che attendono ancora giustizia

Nel Darfur sono state massacrate, sfiorare, mutilate centinaia di migliaia di persone nell’indifferenza della  comunità  internazionale. Un conflitto iniziato nel 2003 e che ha visto soccombere non meno di 300 mila persone e costretto alla fuga 2 milioni e mezzo di sfollati. Una guerra per la gestione del potere come in Africa se ne susseguono da 50 anni. Luoghi dimenticati, ignorati dal mainstream oltre che dai potenti della terra.  Dal 2003 in Darfur è iniziato un conflitto che ha visto contrapporsi il governo del Sudan e il fronte della ribellione del Darfur che chiedeva  l’indipendenza dal governo centrale guidato dall’allora presidente Omar Al Bashir, incriminato per quegli orrori dalla Corte penale internazionale.
Le comunità del Darfur aveva chiesto a più riprese al governo centrale di poter condividere la gestione delle risorse e il potere della regione ma Khartoum ha risposto inviando sanguinarie le milizie janjaweed, i cosiddetti ‘discoli a cavallo’ che hanno iniziato a massacrare la popolazione.
Crimini denunciati e documenti da Amnesty International in un dettagliato e recente rapporto che conferma come quei massacri, compiuti dalle Rapid Support Force (gli ex janjaweed) insieme alle forze militari regolari, nei confronti di uomini, donne e bambini non si siano mai fermati.
Dal report emergono nuove inquietanti prove, tra cui immagini satellitari, che mostrano come per tutto il 2019 le forze di sicurezza si siano rese responsabili della distruzione totale o parziale di almeno 45 villaggi, oltre che di uccisioni illegali e violenze sessuali.
“Nel Darfur, come a Khartoum, abbiamo assistito alla spregevole brutalità delle Forze di support  rapido contro i civili sudanesi, con la sola differenza che in Darfur hanno commesso atrocità per anni nell’impunità” ha affermato il segretario generale di Amnesty International, Mumi Naidoo, il quale ha chiesto al Consiglio militare transitorio del Sudan di “estromettere immediatamente le Rsf da qualsiasi funzione di polizia e di forza dell’ordine, in particolare a Khartoum e nel Darfur, e di confinarle nelle loro caserme nell’interesse della pubblica sicurezza”.
Secondo Amnesty, l’Onu e l’Unione africana “non devono voltare le spalle alla popolazione del Darfur che si affida alle forze di pace per la propria protezione” e la decisione di chiudere la missione Unamid “metterebbe a rischio inutilmente decine di migliaia di vite”.
Nel 2017 e nel 2018 l’Onu e l’Ua hanno deciso di ridurre drasticamente il numero delle truppe Unamid, oltre a chiudere la maggior parte delle sue basi e a riconfigurare il resto della missione per concentrarsi sulla protezione dei civili nella regione del Mar Arabico del Darfur, dove i problemi relativi ai diritti umani e alla protezione erano più urgenti. Alla fine di giugno l’Ua e l’Onu dovranno votare per decidere se prorogare o ritirare tutte le restanti forze di pace dal Darfur entro il giugno 2020, compresa la maggior parte dei siti militari entro dicembre 2019. In base a quanto concordato in precedenza con il governo di Khartum, le basi Unamid avrebbero dovuto essere consegnate al governo per scopi civili, ma sono finite quasi tutte in mano alle Rsf che, secondo la denuncia di Amnesty, hanno commesso crimini contro l’umanità nel Darfur settentrionale e meridionale nel 2014, e nell’area montuosa del Jebel Marra nel 2015 e nel 2016, continuandovi a commettere crimini di guerra e altre gravi violazioni dei diritti umani.
Le stesse milizie para militari si sono rese responsabili dell’uccisione di oltre 118 manifestanti in seguito alla repressione autorizzata dall’esercito lo scorso 3 giugno a Khartoum, dopo il fallimento dei colloquio fra il Consiglio militare e le forze dell’opposizione per la spartizione del potere dopo il rovesciamento del presidente Omar al Bashir.
Secondo la Ong è grave che l’Onu e l’Unione africana considerino anche solo la possibilità di ritirare gli ultimi peacekeeper dal Darfur, consegnando di fatto alle Rsf il controllo delle aree civili.
Amnesty attraverso una lettera aperta al Consiglio di Sicurezza sottoscritta anche da Human Rights Watch e International Crisis Group aveva chiesto lo scorso aprile l’urgente invio nella regione di una forte missione delle Nazioni Unite, autorizzata a usare la forza per proteggere i civili. Ma il Consiglio di Sicurezza non ha mai adempiuto fino in fondo alla propria responsabilità di proteggere la popolazione civile del Darfur.
Secondo la risoluzione del Consiglio di Sicurezza, Khartoum avrebbe dovuto favorire, entro il 23 maggio, l’ingresso del personale Onu incaricato della pianificazione della missione ma come rilevato da Amnesty International, Human Rights Watch e International Crisis Group il Sudan non si è attenuto minimamente alla risoluzione.
La missione dell’Unione Africana sta affrontando condizioni di sicurezza sul terreno in forte deterioramento. Dalla fine del 2005, gli attacchi contro i civili, gli operatori delle organizzazioni non governative e il personale dell’Unione Africana sono aumentati. Secondo dati Onu risalenti ad aprile, almeno 650.000 civili in disperato bisogno non stanno ricevendo assistenza umanitaria perché gli operatori delle Ong non riescono a raggiungerli.
L’impegno internazionale in Darfur, compreso quello regionale dell’Unione africana è progressivamente calato, per non parlare del consueto disinteresse dell’opinione pubblica e dei grandi mezzi di comunicazione.

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