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Covid-19, aiutare l’Africa è anche messa in campo difesa per l’Occidente

La pandemia, imprevista e inarrestabile, ha cambiato le nostre vite. Ci siamo scoperti più fragili, più deboli e indifesi. Isolati in casa, abbiamo scordato il mondo fuori, rimanendo come sospesi nell’attesa di eventi risolutivi. Certamente spaventati per la salute, prima. Poi, giorno dopo giorno, preoccupati dei problemi economici che la lunga quarantena fa diventare sempre più gravi e per i quali non si intravedono con chiarezza soluzioni efficaci e rassicuranti. I sussidi di scarso effetto e i nuovi debiti che ci apprestiamo a contrarre non incoraggiano certo a ben sperare in una ripresa prossima e rapida. Un mondo più povero per tutti ci aspetta.
Così, abbiamo accolto quasi con fastidio le notizie di nuovi arrivi dall’Africa, di altri migranti sbarcati sulle nostre coste. Chiudere i porti è stata la reazione immediata e a livello governativo stavolta. Metterli in quarantena, il primo giusto pensiero. Ricollocarli altrove, il secondo. Dimenticando, concentrati su altre questioni, almeno due aspetti, a ben vedere affatto marginali.

Il primo. La pandemia e le sue ricadute sono una conseguenza della globalizzazione. Viviamo a stretto contatto con tutte le Nazioni del mondo in una interdipendenza che non sembra avere molte alternative. Non possiamo perciò ignorare quel che accade lontano da qui perché è più vicino di quanto possiamo immaginare. La Cina l’ha appena dimostrato. E l’Africa è più prossima della Cina ai nostri confini. Appena al di là del mare. Dovremmo prestare molta attenzione alle condizioni sanitarie dei Paesi limitrofi del Mediterraneo e dell’Africa tutta. Insistere presso tutte le organizzazioni mondiali affinché si facciano carico di tale problema accanto a quelli delle difficili condizioni create dalle guerre e dall’instabilità sociale e politica che affligge gli Stati africani. E iniziare le trattative con i Paesi dell’Africa, sollecitando la collaborazione reciproca e avviando gli interventi concreti a tal riguardo. Tutti quelli che è adesso possibile approntare.
È una ulteriore difesa messa in campo per l’Occidente, se non si vuole considerare l’aspetto umanitario ma solo quello sanitario a livello globale. Che oggi, appunto, ci riguarda da vicino. E per il quale dobbiamo per forza – inopinatamente – chiedere all’Africa aiuto. Un aiuto reciproco, chiesto nel rispetto delle condizioni di ogni Paese e delle sue possibilità di intervento pratico. Ma senza tergiversare. È un piccolo cambiamento di paradigma mentale – quasi una inversione, certo, rispetto agli standard di pensiero in uso – che la forza delle cose rende però inevitabile, avendoci mostrato senza pietà che la nostra umana debolezza è pari a quella degli altri.

Il secondo. In Italia, gli effetti del Covid-19 non sono stati lievi. Con conseguenze che ancora, forse, stentiamo a avvertire pienamente in questa fase di prolungamento dell’isolamento. Ma i segnali di allarme non mancano. Molti lavori sono rimasti privi di manodopera. Le campagne sono in sofferenza e le aziende agricole in difficoltà per la cura e la raccolta dei prodotti. Altre attività hanno subito un rallentamento non tollerabile a lungo e avrebbero bisogno in tempi brevi di riattivarsi, magari inventandosi nuove forme di operosità. Così come il settore stagionale, turistico e balneare.
Fatti salvi gli accertamenti sanitari per escludere nuovi contagi, i tanti giovani arrivati con l’intenzione di lavorare e la speranza di procacciarsi un guadagno utile per loro e per le famiglie sono, in questo frangente, una risorsa da apprezzare invece di un inutile peso, da sopportare controvoglia. Assicurando loro le tutele necessarie, dal punto di vista della salute e in termini economici e gli ausili che servono, sarebbe fuori luogo contare sull’aiuto di quanti si trovano qui – in territorio italiano – per meglio affrontare la attuale situazione di grave disagio e di seria difficoltà, invece di far finta di ignorarli? Un aiuto che già altri Paesi vicini – dalla Russia all’Albania – hanno spontaneamente offerto, inviando persone e ricevendo la nostra gratitudine?
E appena la vita inizierà a scorrere di nuovo sui suoi binari – binari magari un po’ diversi da quelli consueti e dei quali tutt’oggi ignoriamo le caratteristiche, ma che, proprio per questa ragione, pretendono una maggiore apertura della mente e dell’animo alle novità – non potremmo ancora rivolgerci a loro per chiedere, sinceramente, aiuto?
Con un patto onesto, come lo sono tutte le collaborazioni fondate sulla reciprocità degli interessi, pur dai rispettivi punti di vista.
E farlo senza reticenze, adattando appena la nostra mentalità al nuovo paradigma inverso che il Covid -19 ci lascia come lezione. Essendoci accorti, mai come adesso, che noi come loro siamo irrimediabilmente accomunati dallo stesso, vitale sentimento che si chiama, per tutti semplicemente, speranza.

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