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Burundi, il presidente grazia il 40% dei suoi detenuti

In Burundi è stata avviata la scarcerazione di 5.255 detenuti, secondo il decreto di amnistia firmato dal presidente Evariste Ndayishimiye il 5 marzo scorso. Si tratta del 40% dei circa 13.200 reclusi del Paese, le cui prigioni hanno una capacità complessiva di circa 4.100 posti, dunque al momento sono ampiamente e drammaticamente sovrappopolate. 3.000 persone sono state rilasciate questa settimana, mentre altre 2.000 hanno avuto una riduzione della pena.

Alla presenza del capo di Stato, di alcuni funzionari e diplomatici, nonché di molti giornalisti, lunedì 26 aprile si è tenuta una vera e propria cerimonia nella prigione centrale di Mpimpa, la più grande del Paese, nella città di Bujumbura. In quella sede, le persone liberate sono state 1.400 (più di un terzo del totale), comprese tante donne con bambini o incinte, persone vulnerabili o che soffrono di malattie croniche. È stata un’occasione sia di riconciliazione, sia di propaganda: i prigionieri sono stati radunati nel cortile, tutti vestiti con la loro uniforme verde, e, in silenzio come ordinato dal direttore dell’istituto penitenziario, hanno ascoltato il discorso del presidente. Ndayishimiye ha sottolineato che il carcere dovrebbe essere uneccezione e che il suo scopo non è punire, ma riabilitare, anche perché, ha aggiunto, «un carcerato è un peso per il Paese e per la famiglia, perché consuma senza produrre e la famiglia si impoverisce», per cui ha esortato i beneficiari della grazia a non ricadere nel crimine, ma, al contrario, a cercare un lavoro per reintegrarsi nella società.

Oltre a ribadire ulteriori principi dello stato di diritto, invitando gli ufficiali di polizia giudiziaria a registrare tutti i prigionieri al loro arrivo, perché «dobbiamo evitare che una persona passi tre mesi senza essere processata», il presidente ha poi assistito a delle danze organizzate dalle detenute e ha seguito i discorsi delle altre autorità presenti. Come ha osservato Jeanine Nibizi, ministro della giustizia, si tratta della più grande amnistia presidenziale del Burundi, un atto resosi necessario a causa del sovraffollamento delle carceri, specie in questo periodo di pandemia da Covid-19, ma che vuole essere anche un segno di discontinuità con il recente passato. Molti dei graziati, infatti, erano stati arrestati in occasione delle forti proteste del 2015, quando l’allora presidente Nkurunziza si ricandidò per un terzo mandato, vietato dalla Costituzione.

Evariste Ndayishimiye, eletto nel maggio 2020 e appartenente al medesimo partito dell’antesignano, ha emesso il decreto di grazia il 5 marzo 2021. Nel testo, il capo di Stato scrive di essere«convinto della necessità di una eccezionale misura di clemenza per decongestionare le prigioni e per migliorare le condizioni di detenzione». Tra i requisiti previsti dal decreto per poter accedere alla scarcerazione c’è la condanna inferiore ai cinque anni di reclusione, mentre è inammissibile al provvedimento chi ha fatto parte di gruppi armati o ha messo in pericolo la sicurezza nazionale. Altro caso ammesso alla grazia è la corruzione: chi è condannato per tale reato può essere liberato, a patto che rimborsi i fondi e indennizzi le vittime delle frodi.

Presente alla cerimonia di Mbimpa, la stampa burundese ha raccolto molte reazioni tra gli amnistiati: tanti ringraziano il presidente la sua benevolenza, altri lo benedicono, altri ancora esprimono grande emozione per quello che definiscono “un giorno indimenticabile”. Una ragazza ha dichiarato: «Ho appena trovato la mia libertà. Incontrerò di nuovo i miei amici. La vita in prigione è stata un vero calvario». Un’altra, tenendo in braccio due figli piccoli, ha detto: «Ero quasi disperata. Mi chiedevo come avrei potuto crescere i miei figli in prigione. E ora sono libera».

Favorevoli anche le reazioni istituzionali, ad esempio dalla Commissione Nazionale Indipendente dei Diritti Umani (CNIDH)e dall’ambasciata statunitense, ospite dell’occasione. Ci sono, tuttavia, alcune inquietudini, come per il caso di Alexis Nsabimana, incarcerato dal gennaio 2016, che, liberato lunedì da Mpimba, non è mai arrivato a casa dalla sua famiglia, per cui si teme che possa essere stato prelevato con la forza e condotto in un luogo ignoto.

Le amnistie in Burundi non sono una novità. Già nel maggio del 2015 Nkurunziza promise una grazia per alcune centinaia di detenuti, al fine di fermare le proteste, come poi annunciò ancora una volta alla fine del 2016. Questa volta, però, le dimensioni del rilascio sono molto più grandi e, soprattutto, sembrano voler marcare una discontinuità che renda Ndayishimiye un presidente con una personalità propria, uscendo dal cono d’ombra del suo predecessore.

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