Il tema dell’immigrazione, anche nelle sue declinazioni più tecniche e giuridiche, continua a suscitare un vivo interesse nella popolazione italiana. In particolare, la Legge Bossi-Fini, promulgata nel 2002, è al centro di un dibattito che coinvolge non solo giuristi ed economisti, ma anche cittadini preoccupati per le ripercussioni che tale normativa ha sullo sviluppo economico, culturale e sulla sicurezza del Paese.
La Bossi-Fini nasce non solo come risposta a un fenomeno migratorio crescente, ma soprattutto come strumento per onorare una promessa elettorale precisa. Questa legge, infatti, è figlia di una campagna politica che ha cavalcato con forza il tema della “sicurezza”, prospettando alla popolazione timori legati a un’invasione incontrollata di migranti irregolari. I toni, nelle descrizioni, erano una caricatura di individui prevalentemente inclini alla criminalità e dipingevano l’immigrazione come non come una lecita e umana fuga verso una vita migliore ma come una minaccia alla stabilità sociale e alla sicurezza dei cittadini italiani. Un tale approccio ha di certo contribuito a raccogliere consensi, facendo leva su paure diffuse e amplificate ad arte. Tuttavia a tutti e con il passare del tempo, è diventato chiaro che la realtà è ben più complessa e che la legge ha prodotto effetti collaterali controproducenti.
Uno dei problemi principali della Bossi-Fini è la sua rigidità nel vincolare il permesso di soggiorno alla stipula di un contratto di lavoro. In un mercato del lavoro sempre più frammentato e caratterizzato da precarietà, molti immigrati, anche quelli regolarmente arrivati in Italia, si trovano a perdere il proprio status legale semplicemente a causa della scadenza del contratto di lavoro, limitando così la possibilità di approdare a nuove opportunità. Questo meccanismo conduce inesorabilmente alla scelta più facile: alimentare il fenomeno del lavoro nero, favorendo molto spesso un sistema di sfruttamento che danneggia non solo i migranti, ma anche l’economia italiana nel suo complesso.
Lavorando per un’ONG che assiste i senza dimora a Milano, mi capita di frequente di incontrare extracomunitari venuti in Europa attratti da racconti incompleti dei loro connazionali. Spesso alla partenza non immaginano le difficoltà che li attendono, né la dura realtà della vita di strada a cui molti sono costretti poiché irregolari. I racconti che arrivarono alle loro orecchie parlavano di vittorie, di benessere e se anche qualche volta accade, molto più spesso è il racconto che nasconde l’infrangersi dell’idea di riscatto contro una panchina in un parco. Perché a nessuno piace parlare di fallimenti. Illusi da ciò che hanno sentito o hanno visto negli echi dei nostri media, molti pagano anche 1.000€ per ammassarsi su barche pericolose, con poche possibilità di raggiungere le coste europee in sicurezza. Ma di questo abbiamo già parlato.
L’abolizione o quanto meno la riforma profonda della legge Bossi-Fini viene invocata da diversi elementi della società, non solo per ragioni umanitarie, ma anche per motivi strettamente economici. È sempre più chiaro che l’Italia, con la sua popolazione in rapido invecchiamento e un calo demografico significativo, ha bisogno di nuova forza lavoro, soprattutto in settori chiave come l’agricoltura, la cura delle persone anziane e il settore manifatturiero. Restringere l’accesso legale di lavoratori immigrati significa compromettere la capacità del Paese di mantenere livelli adeguati di produttività, perdere competitività e autonomia. Inoltre, la gestione di un numero sempre maggiore di persone costrette alla clandestinità e di sistemi repressivi per il controllo del fenomeno migratorio, hanno rivelato avere costi insostenibili nel lungo periodo.
Infine, un aspetto cruciale è la questione della sicurezza. Contrariamente a quanto sostenuto dai promotori della legge, l’inasprimento delle norme non ha portato a una maggiore sicurezza per i cittadini italiani. Al contrario, la crescente clandestinità alimentata dalla Bossi-Fini ha favorito l’aumento di fenomeni criminali legati all’immigrazione irregolare, come il traffico di esseri umani e lo sfruttamento lavorativo.
Inoltre è facile pensare che un “irregolare”, pur volendo integrarsi e non potendo regolarizzarsi, diventi facile preda della criminalità che propone di azioni illecite, promettendo in cambio quelle sperate risorse economiche che per lo più verranno inviate alle famiglie rimaste nel pese di origine.
Abolire o riformare profondamente la Legge Bossi-Fini non è solo un atto di giustizia sociale nei confronti degli immigrati, ma una necessità per il futuro dell’Italia. Il Paese non può più permettersi di sprecare risorse umane e produttive preziose, né di alimentare tensioni sociali che ostacolano la crescita e la convivenza civile. Una politica migratoria più moderna, inclusiva e realistica è indispensabile per rispondere alle sfide del nostro tempo e per costruire un futuro di sviluppo sostenibile e di prosperità condivisa.
Ma è facile dire che una legge non funziona, servono proposte e idee capaci di rendere il “problema del flusso migratorio”, la“opportunità del flusso migratorio”. Che ne dite, ne parliamo?