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World press freedom day. Africa meridionale, quando il nemico non è il virus ma la stampa

In molti stati dell’Africa meridionale il coronavirus è rapidamente diventata un pretesto per mettere il bavaglio a giornalisti e organi d’informazione, soprattutto quelli che hanno criticato la risposta dei governo alla pandemia.

Per questo motivo in Madagascar il 4 aprile è stata arrestata Arphine Helosoa, giornalista del quotidiano “Ny Valosoa”. Passato un mese, è ancora in carcere accusata di incitamento all’odio contro il presidente Andry Rajoelina e di diffusione di notizie false.

In Zambia il 9 aprile è stata chiusa l’emittente televisiva indipendente Prime Tv, che si era rifiutata di mandare in onda la campagna di comunicazione sul Covid-19 del governo, dato che gli importi concordati per le precedenti campagne non erano stati ancora saldati.

Nello Zimbabwe, il governo ha interferito indebitamente nel lavoro di almeno otto giornalisti a tal punto che è dovuto intervenire il Media institute of Southern Africa che ha chiesto e ottenuto dall’Alta corte una sentenza che vieta ulteriori azioni di disturbo.

Il 23 aprile il giornalista di Eswathini (già Swaziland) Eugene Dube, direttore dell’edizione online di “Swati Newsweek”, è stato trattenuto per sette ore in una stazione di polizia dopo che aveva scritto che non erano state adottate misure di distanziamento sociale. Nel corso di una perquisizione nella sua abitazione, gli sono stati sequestrati smartphone e computer. Rischia l’accusa di tradimento per aver “scritto cose negative” sul re Mswati III.

Un altro giornalista di Eswathini, Zweli Dlamini, direttore di “Swaziland News”, è attualmente ricercato dalla polizia per aver scritto che il re è stato contagiato e non è in buone condizioni di salute.

In Sudafrica il giornalista del portale “News24” Azarrah Karrim è stato colpito intenzionalmente da vari proiettili di gomma, nonostante avesse più volte urlato “Sono un giornalista”, mentre la polizia cercava di disperdere le persone che, nel primo giorno di lockdown a Yeoville, Johannesburg, erano ancora in strada.

Infine, in Angola e Mozambico molti giornalisti hanno ricevuto minacce per farli desistere dal pubblicare articoli critici sulla gestione dell’emergenza sanitaria.

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