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Focus internazionale

Afghanistan, da Kabul al Panjshir per partorire. Tributo a Gino Strada

“Poter partorire qui è stata una benedizione” ha detto Najila, una giovane donna di Kabul che ha messo al mondo ben 4 gemelli. Il parto non si presentava facile e lei era troppo denutrita e debole per affrontare un parto plurimo in casa. Mahsa, Mehruma, Mehran, Mahnaz sono nati nel Centro di Maternità di Emergency…

“Poter partorire qui è stata una benedizione” ha detto Najila, una giovane donna di Kabul che ha messo al mondo ben 4 gemelli.

Il parto non si presentava facile e lei era troppo denutrita e debole per affrontare un parto plurimo in casa.
Mahsa, Mehruma, Mehran, Mahnaz sono nati nel Centro di Maternità di Emergency ad Anabah, 100 km a nord di Kabul, in uno degli ospedali fortemente voluti da Gino Strada, in cui si prendono cura dei bisogni delle madri e dei bambini di questo paese sull’orlo del collasso. Per raggiungere il Centro, Najila ha viaggiato per più di tre ore, fino alla valle del Panjshir.
L’Afghanistan sta affrontando una grave crisi umanitaria, che il governo talebano finge di ignorare, con il 48% della popolazione che vive sotto la soglia di povertà. Le donne e i bambini sono i più colpiti e i più vulnerabili, e mentre il governo centrale pensa a come reprimere i potenziali vizi, la denutrizione affligge la maggior parte delle donne afghane, soprattutto in gravidanza, tanto che moltissime arrivano al parto in condizioni davvero precarie e i bambini nascono tra mille difficoltà, spesso in casa, già fragili.

Quando ho visto la foto dei 4 gemellini l’ho subito inviata a R., come segno di speranza, ma la sua risposta mi ha spiazzato, era tutt’altro che gioiosa, anzi mi ha detto con tristezza “Ma come può un paese povero, come è ridotto ora l’Afghanistan, garantire un parto come questo? È un paese che non consente alle madri di allevare adeguatamente i propri figli, dove non c’è la possibilità di farli studiare, dove analfabetismo e disoccupazione sono ai massimi storici e i genitori sono privi dei mezzi minimi per provvedere alla famiglia, dove le donne rimaste sole mendicano per la strada per sfamarsi. In un posto del genere i bambini non possono godere di buona salute, non hanno una dieta adatta alla loro crescita , non hanno i diritti fondamentali per un sano sviluppo, come dovrebbe essere. Sono costretti ad affrontare le difficoltà e le privazioni di una società che sta regredendo sempre di più, fino a che non diventano grandi…sempre che riescano a raggiungere l’età adulta. La maggior parte della popolazione afghana ignora cosa sia la pianificazione e il controllo delle nascite, si fanno figli che non si riescono ad allevare, le famiglie continuano ad essere molto numerose. Lo dico per esperienza, sono l’ottavo di 11 figli, capisco bene il problema, le difficoltà, pur avendo avuto un padre che non ci ha fatto mancare nulla. Come farà questa famiglia a sfamare 4 bambini, tutti insieme?”.
Effettivamente la famiglia proviene da una delle zone più povere della capitale Kabul, tanto che, dopo la gioia iniziale, la giovane mamma ha già detto che non si potrà permettere di viaggiare per fare le visite di controllo e teme di non riuscire a comprare il latte necessario per sfamare i bambini.
L’assistenza sanitaria pubblica in Afghanistan è pressoché inesistente, mancano i medicinali e si cura solo chi se lo può permettere.
Il tasso di mortalità materna nel paese è tra i più alti al mondo, 638 morti per 100.000 nascite secondo l’Unfpa – United Nations Population fund, e 45 neonati su 1.000 muoiono prima dell’anno di età.
I centri ospedalieri di Emergency voluti da Gino Strada sono una boccata d’ossigeno in un sistema sanitario altrimenti inesistente.
Ad Anabah si seguono 600 parti al mese, a Kabul e a Lashkar-gah si curano i feriti di guerra, in un paese che non conosce pace da 40 anni, in cui gli attentati continuano ad essere all’ordine del giorno, benché il conflitto sia ufficialmente terminato (l’ultimo a Kabul c’è stato l’11 agosto, nella zona di Dasht-e Barchi).

Gino Strada è mancato 3 anni fa, due giorni prima che i Talebani riprendessero il possesso dell’Afghanistan, vanificando venti anni di tentativi di un ritorno alla libertà. Il suo contributo all’accesso alle cure nei paesi martoriati da conflitti e povertà è stato ed è ancora fondamentale.
“Quel che facciamo per loro, noi e altri, quel che possiamo fare con le nostre forze, è forse meno di una gocciolina nell’oceano. Ma resto dell’idea che è meglio che ci sia, quella gocciolina, perché se non ci fosse sarebbe peggio per tutti”.

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