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Tunisia, nuovo presidente, nuove prospettive?

TUNISI – Dieci giorni dopo la sua vittoria alle elezioni presidenziali, eletto con il 72,71% dei voti al secondo turno, l’avvocato costituzionale Kaïs Saïed ha prestato giuramento mercoledì 23 ottobre come nuovo presidente della Repubblica tunisina. 

Tra i suoi sostenitori ci sono molti studenti e giovani che vedono in questo vecchio giurista una rinnovata speranza di cambiamento e di riorientamento verso una transizione democratica iniziata dopo la sconfitta del governo autoritario di Zine el-Abidine Ben Ali.

Nel suo discorso di investitura pronunciato in arabo letterario, Saïed ha ringraziato “coloro che hanno scelto diversamente e hanno liberamente eletto un’altra persona “. Di fronte a un’assemblea eletta nel precedente mandato del 2014 e alla nuova assemblea eletta lo scorso 6 ottobre, il nuovo presidente ha parlato di un “nuovo mondo”, ha ripetuto più volte le parole chiave: “speranza”, “libertà” e “dignità”.

Tra i passaggi più commuoventi e apprezzati, oltre all’enfasi posta sulla necessità di tornare a ‘sperare’, vanno citati l’omaggio ai martiri della rivoluzione e alle forze di sicurezza, che più di altri sono state bersaglio degli attacchi terroristici di questi anni, la valorizzazione delle donne in campo economico e sociale e il ricordo del diritto del popolo palestinese a uno Stato: “Dobbiamo unirci contro il terrorismo per porre fine a tutte le sue radici e cause. Ha ripetuto più volte la parola “dovere” e ha elencato le priorità che propone debbano essere di tutti: “il popolo, lo stato, la sicurezza, ma anche i poveri e i miserabili. Non si tratta di toccare i diritti delle donne. Le donne devono vedere rafforzati i loro diritti, compresi i loro diritti economici e sociali. È tempo di invitare nuovi metodi per realizzare le aspirazioni della nostra gente in termini di occupazione, libertà e dignità”.

Se l’elezione popolare diretta di per sé conferisce al presidente grande legittimità politica, un voto così netto – e per di più coronato da un tasso di affluenza sorprendentemente alto (stimato intorno al 57%) in controtendenza rispetto alle municipali del maggio 2018 (neppure il 36%) e alle legislative dello scorso 6 ottobre (poco meno del 42%) – assume un valore simbolico ancora maggiore. E come numerosi sondaggi avevano già indicato, la presidenza si conferma un’istituzione che gode di maggior credito rispetto, ad esempio, a Parlamento e Governo.

Oggi saranno i nuovi equilibri in Parlamento a determinare, forse ancor più della presidenza, il consolidamento democratico della Tunisia nei prossimi anni. Ennahda, il partito vincitore delle elezioni, dispone di soli 51 seggi, di gran lunga al di sotto dei 109 necessari per una maggioranza parlamentare. Seconda forza politica è Qalb Tounes (Cuore della Tunisia), il partito di Nabil Karoui, con 38 seggi. A seguire, altri cinque blocchi ‘maggiori’: i social-democratici dell’attivista per i diritti umani Mohamed Abbou (22), la Coalizione della Dignità guidata dall’avvocato islamista e populista Seif Eddine Makhlouf (21), il partito di destra ultra-nazionalista e anti-islamista di Abir Moussi (17), i socialisti del Movimento popolare (16) e Tahya Tounes (Viva la Tunisia) del premier uscente Youssef Chahed (14).

A fronte di una frammentazione molto più accentuata rispetto al passato e di opposizioni tenaci, come quella di Qalb Tounes e del partito di Moussi, Ennahda si trova ad affrontare un primo e delicato banco di prova con le consultazioni per la formazione di un nuovo governo, incassando, al momento, più veti che lasciapassare.

Qualora Ennahda dovesse fallire nella formazione del governo entro un mese, la Presidenza dovrà incaricare un’altra forza politica o decidere di tornare al voto, anche se è improbabile che nuove elezioni possano portare a risultati significativamente diversi con la medesima legge elettorale.

Molto più verosimile, invece, è il rischio che nuove consultazioni elettorali deprimano la già scarsa fiducia dei cittadini nei loro rappresentanti eletti.

La vittoria di Saïed lascia presagire un periodo di iniziale incertezza per quanto riguarda le politiche economiche, certamente uno dei temi di maggior interesse e rilevanza per una popolazione rimasta delusa non solo dalle riforme impopolari e dall’austerità promossa dai precedenti governi ma anche dalla loro incapacità di risolvere problemi cronici legati all’economia.

Su tutti l’elevata disoccupazione, attualmente al 15,6% e diffusa soprattutto tra le fasce più giovani, e l’alto tasso di inflazione. Alcune di queste politiche – in particolare il taglio degli stipendi e delle assunzioni nel settore pubblico e l’aumento dei prezzi del carburante – sono state promosse nel quadro di un piano di ristrutturazione dell’apparato economico nazionale finanziato in buona parte con un prestito di circa 3 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale, e hanno però causato un diffuso malcontento tra la popolazione.

Mentre si prevede una crescita più sostenuta del PIL nel corso del 2020 (2,7% contro 1,9% di quest’anno) lo stato di salute dell’economia tunisina rimane precario, non solo a causa di un comparto industriale in recessione per l’undicesimo mese di fila ma anche per un elevato debito pubblico e per le minacce alla sicurezza interna.

Queste variabili continueranno a condizionare l’andamento economico del paese, nonostante la visibile ripresa del settore turistico e dell’agricoltura favorita da un’annata maggiormente produttiva (soprattutto per la produzione dei datteri e delle olive).

Le maggiori priorità per il nuovo governo rimangono la creazione di nuovi posti di lavoro, l’attuazione di politiche volte ad attrarre maggiori investimenti dall’estero e il rafforzamento del settore privato.

Il consolidamento democratico della Tunisia è di vitale importanza per l’Unione Europea e, in particolare per l’Italia. in una regione colpita da instabilità e conflitti, il ruolo attivo del paese a favore della cooperazione regionale, in particolare per quanto concerne la crisi libica e il controllo dei flussi migratori illegali sono questioni che portano a rafforzare le misure di consolidamento del processo democratico in Tunisia e di supporto alla lotta alla povertà e allo sviluppo sostenibile nel paese.

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