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Tanzania: vietato alle Ong e alle singole persone ricorrere alla Corte africana

Il 21 novembre l’Unione africana si è vista notificare una decisione grave e pericolosa da parte del governo della Tanzania: il ritiro dell’adesione all’articolo 34.6 del Protocollo sulla Corte africana dei diritti umani e dei popoli, che consente alle Ong e alle singole persone di presentare ricorsi all’organo di giustizia regionale.
 
O meglio, dal punto di vista del governo di Dar-es-Salaam, “consentiva”.  Perché d’ora in poi ai cittadini e alle organizzazioni della società civile tanzaniana quei ricorsi saranno vietati.
 
Dopo il Ruanda, la Tanzania è il secondo stato africano a prendere questa decisione, che rischia di favorire l’impunità impedendo il ricorso a un organo giudiziario non nazionale ma anche di minare l’autorevolezza e la legittimità della Corte a livello regionale. Anche perché, piccolo particolare, la Corte ha sede ad Arusha, proprio in Tanzania.
 
Uno sguardo ai numeri spiega chiaramente il perché di quella dichiarazione: la Tanzania è al primo posto per numero di ricorsi alla Corte presentati da singole persone e Ong e  delle 70 sentenze sin qui emesse, 28 (ossia il 40 per cento) hanno riguardato proprio la Tanzania.
 
L’ultima è di pochi giorni fa: il 28 novembre la Corte ha stabilito che la condanna obbligatoria alla pena capitale compromette l’indipendenza dei giudici e viola il diritto alla vita e quello a un processo equo.
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