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RD del Congo: un anno di presidenza Tshisekedi tra poche luci e molte ombre

Il bilancio di un anno di presidenza di Felix Tshisekedi nella Repubblica Democratica del Congo presenta alcune luci e molte ombre.

Se vanno ascritti a suo merito la scarcerazione dei prigionieri politici e il rientro in patria di oppositori precedentemente costretti all’esilio, non va dimenticato il fallimento nel ripristinare condizioni di vita normali nell’est del paese.

Nel Kivu del Nord e del Sud, così come nell’Ituri, la violenza tra comunità e i conflitti armati hanno causato centinaia di morti e migliaia di sfollati tra la popolazione civile: tra il 30 ottobre e il 16 dicembre dello scorso anno gli scontri tra le forze armate e i ribelli delle Forze democratiche alleate ugandesi hanno fatto almeno 206 vittime, mentre a novembre le forze di sicurezza congolesi e i peacekeeper delle Nazioni Unite hanno ucciso 10 manifestanti che chiedevano protezione contro gli attacchi dei ribelli.

Tra i fatti più recenti, va ricordato il brutale intervento effettuato il 17 gennaio dalle forze di sicurezza contro le manifestazioni promosse dal leader dell’opposizione Martin Fayulu e vietate dal governo.

I processi per le violenze commesse durante le ricorrenti proteste, scaturite dalla crisi elettorale iniziata nel 2015, si contano sulle dita di una mano.

Per non parlare dell’impunità di cui godono ancora i vari signori della guerra.

“Non ho tempo per rimestare nel passato”: la frase pronunciata da Tshisekedi lo scorso settembre spiega tutto.

Spiega perché lo scorso novembre dall’ufficio del presidente sia partita la richiesta ai tribunali di “sospendere” i mandati di cattura emessi nel 2013 contro i leader del gruppo armato “Movimento 23 marzo”, responsabile di gravissimi crimini tra il 2012 e il 2013.

Spiega perché il mandato di cattura emesso nel giugno 2019 nei confronti di Guidon Shimiray Mwissa sospettato di stupri e reclutamento di bambini soldato non sia stato ancora eseguito.

Spiega perché il processo a un altro signore della guerra, Ntabo Ntaberi Cheka, iniziato nel novembre 2018, sia ancora fermo.

Spiega, infine, perché Gédéon Kyungu Mutamba, condannato per crimini di guerra da un tribunale nazionale nel 2009, evaso nel 2011, “arresosi” nel 2016, continui a gironzolare libero e persino a fare attività politica.

In un’altra dichiarazione, Tshisekedi ha detto che il 2020 sarebbe stato un “anno di azione”. Si spera sia davvero così e che si tratti di un agire in favore dei diritti umani.

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