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Rekia, ripudiata dalla famiglia in Marocco in cerca di speranza in Italia

Quanti amori…sbagliati. Tutti impossibili. Tutti falsi. Ne ha vissuti uno, due, tre… Tutti che l’han presa. Tutti che l’hanno ingannata. Tutti che l’hanno lasciata. Minorenne sembra ancora che sia ora che ha poco più di trent’anni. Sotto un manto di stelline bianche del suo mezzo niqab brillano due occhi d’infanzia rubata con pensieri di mamma e di donna derubata. Turbata. Quando toglie il velo a metà ha un sorriso con pochi denti. Rekia è bella. Disincantata. Forte e dinamica. Anche duramente provata ma con silhouette da far girar la testa. Ha iniziato a lavorare ad undici anni. Faceva la cameriera e badava a tutto in casa. Ne aveva quasi diciassette quando a Marrakesch sentì battere forte il cuore sino in gola e un caldo intenso sopra pelle. La mano un po’ tremava ma fu subito amore a prima vista e un sogno che iniziava. Lasció la famiglia dove era al servizio e felice guardò la vita con prospettiva diversa. Fecero una gran festa come in uso lì in Marocco per il matrimonio. Cibo, balli, danze e suonatori di serpenti. Vino come mai proibito, frutta, dolci e sguardi di felicità che riempiono il borsone con tutto il necessario da portare a casa del promesso sposo dove andrà a vivere. Insieme. Non ancora sposati ma promessi nella gran festa in attesa dei certificati. Rekia è minorenne il compagno ha ventitré anni. Datteri, cous cous e profumi di agnello arrosto. Il comune deve rilasciare l’autorizzazione per potersi sposare. Rekia é già come moglie. Marito e moglie di fatto lo sono nella gran festa che suggella amore, patti e promesse di lunga vita senza tradimenti. Piroette, costumi, abiti con fiori e ghirlande. Notte vivace di petali all’aria, te alla menta, torta di miele, mandorle e cannella…poi la prima alba dalla finestra di casa e l’aurora che cresce sino a nuovo giorno. Cresce d’un velo anche la pancia di Rekia. È incinta. Perciò la festa da matrimonio e il rito nuziale senza ancora le carte necessarie per le spose minorenni. È quel velo di pancia che l’umilia. In casa di lui è meno d’una serva. Condannata, maltrattata e comandata a far di tutto, a sbrigar faccende, ad essere ultima e a non contar niente. Insopportabili maltrattamenti che si accompagnano a denigrazioni umilianti per non essere arrivata vergine al matrimonio e così con coraggio dice al suo amato…”Se non andiamo a vivere da soli torno a casa dei miei”. Per un mese vivono di cuore e d’amore l’attesa della bambina in una casa presa in fitto, poi il ritorno dai suoceri che invocano l’unità familiare. Rekia sempre più umiliata, additata, considerata poco di buono torna a casa dei suoi genitori. Affida loro la neonata e raggiunge la sorella in Italia. Lavora nelle campagne, ha regolare permesso di soggiorno, telefona giù in Marocco, si accerta della sua piccola, dei genitori così come dei suoi otto fratelli. Rekia torna a Marrakech quando la figlia compie sei anni e se la porta in quel dove Cristo si è fermato. Conosce un connazionale. Si cercano, si incontrano, escono, stanno insieme, mangiano spaghetti e cose di cucina marocchina che lei prepara bene. Quando Rekia gli chiede di regolarizzare il loro amore perché non sia una storia clandestina….il marocchino le chiede…: “Se a tavola c’è una bottiglia di acqua dove altri hanno bevuto…tu ci berresti? Rekia capisce e risponde…: ”in tavola c’era un pezzo di pane di ieri…non era appena sfornato ma lo hai mangiato e ti sei sfamato! Ora vattene”. E così altra delusione. Altra storia finita. Truffatori di cuori. Falsari d’amore. Ingannatori. Impostori come suonatori di serpenti che continua a conoscere. Marocchino anche un altro amore che muove di passione le giornate. Con le mani nella terra, braccia graffiate e punte da insetti tira avanti nel duro faticoso lavoro in aziende agricole che la chiamano alla bisogna. Alzando la testa per metter su una cassetta di frutta incrocia lo sguardo d’intenso marrone africano. Languido come nostalgia, tagliente come lacere ferite. Un tonfo tra stomaco e cuore e un lesto intreccio di mani. È l’inizio di una nuova storia. Le vite si legano tra passione e bisogno. Lui si sposta, a volte, per lavoro. Rekia è serena. Gli crede, ha fiducia, si capiscono. Incrociano le ginocchia e affondano le dita nel cous cous a sera e al mattino con sorsate e baci di the alla menta è come un soffio d’Africa il buon giorno. Si sente proprio sicura e più forte col suo compagno marocchino. Per alcuni problemi di salute non prende, per un certo periodo, l’anticocezionale. Rekia è incinta. Con timida gioia gli dice, nell’ultimo rientro, del figlio che verrà e se vorrà riconoscerlo. In risposta sono spallucce di chi se ne frega e sbatte la porta di casa dicendo. Cos’hai in testa. Sono sposato. Ho famiglia a Battipaglia. Non t’ho mai conosciuta.” Rekia si dà coraggio. Porta avanti la gravidanza. Il bimbo ha quattro anni e quel che vive è un turbinio di sofferenza e gioia materna, di ostacoli e difficoltà, di lavoro, casa e due figli di diversa età…da diversi amori…finti e finiti. “I marocchini, dice, usano le donne come cose da buttare. Sono cattivi. Per bene quasi mai e solo, talvolta, con le vergini.” Marocchini come tanti altri uomini. Quanto amore  per tanti amori finti. Rekia rimette il mezzo niqab. Di nuovo due occhietti tra stelline bianche…e perle di lacrime nascoste.

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