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Mozambico, nei numeri la vastità della catastrofe

Il 14 Marzo 2019 il Ciclone Idai ha colpito il Mozambico nelle province di Inhambane, Sofala, Manica e Zambezia, uccidendo almeno 468 persone (confermate al 28 Marzo), ferendone 1,500 e con una stima di 1.85 milioni di invidiui in bisogno di assistenza umanitaria. Secondo le prime stime delle agenzie umanitarie, la dinamica delle inondazioni che sono seguite all’impatto del cyclone hanno colpito soprattutto bambini (che si stimano essere oltre la meta’ del 1.85 milioni di individui colpiti), donne, anziani e persone con disabilita’: tutti gruppi particolarmente vulnerabili che non sono stati in grado di raggiungere zone sicure, nel mezzo di onde di piena che hanno superato i sei metri per diversi giorni.

Mentre la conta dei danni si aggiorna di giorno in giorno, i primi rapporti compilati tramite analisi satellitari condotte dalla piattaforma delle Nazioni Unite (UNISDR e Intl Charter) stima in 3,000 Km2 l’area colpita, 58,600 case colpite, 500,000 ha di coltivazioni distrutte, oltre 3,000 scuole e 45 ospedali inagibili.

Nelle prime fasi dell’emergenza il governo locale e la comunita’ umanitaria hanno attivato 130 centri per la prima accoglienza, dove 110,000 persone sono attualmente aiutate, utilizzando scuole ed edifici pubblici, e creando presidi sanitari per evitare l’accendersi di focolai di epidemie.

Il Ciclone colpisce un Mozambico gia’ duramente provato da altre emergenze ambientali: dal 2018 cinque distretti del paese erano monitorati per l’altissimo livello di malnutrizione infantile, e 1.7 milioni di persone dal Settembre al Dicembre 2018 erano classificate in IPC Level 3, che nella scala dell’emergenza alimentare elaborate dal Programma Agricolo Mondiale significa severa malnutrizione ed insicurezza alimentare.

La risposta internazionale all’emergenza e’ stata rapida, ed in pochi giorni un response plan pubblicato dalle Nazioni Unite ha fotografato i principali bisogni e le strategie per salvare vite umane, campi coltivati ed infrastrutture: un conto da 282 milioni di dollari, che si somma ai 55 milioni di dollari richiesti prima del Ciclone Idai per attivare i programmi di sicurezza alimentare.

Non sono pero’ mancate le critiche: secondo fonti giornalistiche locali, dal 2015 solo il 20% del piano nazionale per i disastri e’ disponibile, nonostate sia uno strumento obbligatorio ai sensi della Legge locale,e per tre giorni l’Istituto Nazionale per la Gestione dei Disastri non e’ stato in grado di comunicare o coordinare gli interventi nelle zone colpite, dato che il sistema utilizzato si basa su linee telefoniche che non erano ovviamente funzionanti in seguito all’impatto di un ciclone di categoria 4. I voli iniziali di droni per mappare le aree colpite non hanno funzionato in maniera ottimale, dato che non possono volare in condizioni di continuo cattivo tempo, ed hanno una autonomia limitata. Inoltre, come gia’ accaduto in passato, le comunicazioni tra paesi colpiti non hanno funzionato: come nel 2015 il Malawi non era riuscito a lanciare avvertimenti per le inondazioni del fiume Licungo, anche adesso lo Zimbabwe non ha informato il Mozambico riguardo all’inondazione della propria diga, che ha generato un effetto a cascata sui fiumi.

Dei 16 cicloni tropicali che hanno colpito il paese dal 1980, l’arrivo del Ciclone Idai era stato indubbiamente comunicato per tempo alla popolazione: residenti di Beira, una citta’ di 500,000 persone, erano stati allertati, ma in mancanza di mezzi efficienti per evacuare le zone a rischio e di un coordinamento di terra efficiente, l’allerta non e’ bastato a salvare molte vite.

 

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