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Libia, il Memorandum delle responsabilità taciute

Il ‘Memorandum of understanding’ siglato il 2 febbraio 2017 con la Libia ha contribuito a far calare i flussi migratori ed i morti in mare; ora va però cambiato per migliorare le condizioni dei centri per migranti con l’obiettivo di una loro graduale chiusura per far posto a strutture gestite direttamente dall’Onu.  Ad affermarlo il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, nella sua informativa alla Camera, sottolineando che la proposta italiana di rivedere il testo “è stata immediatamente e favorevolmente accolta” da Tripoli..
Ma cosa prevede l’accordo firmato nel febbraio 2017 dall’allora presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni e dal primo ministro del governo di riconciliazione nazionale libico al-Serraj? 

L’intesa, che ufficialmente disciplina la cooperazione nel campo dello sviluppo, il contrasto all’immigrazione illegale, al traffico di esseri umani e al contrabbando e il rafforzamento della sicurezza delle frontiere tra lo Stato della Libia  e la Repubblica Italiana, fu raggiunto nell’ambito della crisi europea dei migranti, quando a sbarcare sulle coste italiane erano decine di migliaia di uomini, donne e bambini. Gli aiuti economici e il supporto formativo, addestrativo, tecnologico e di mezzi garantiti dall’Italia alla Guardia costiera di Tripoli, numeri alla mano, hanno sicuramente aiutato a ridurre drasticamente le partenze dal Paese nordafricano (-97,2% negli ultimi due anni) ma i libici non sono riusciti a migliorare, come promesso, le condizioni di vita dei migranti ammassati nei Centri di accoglienza. Centri ai quali le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie hanno si’ accesso, ma solo in modo molto limitato, come denunciato da rapporti governativi e da reportage giornalistici. A far discutere è soprattutto il ruolo della Guardia costiera libica, che secondo diverse fonti sarebbe formata almeno in parte da milizie locali colluse con i trafficanti: è recente l’inchiesta di Nello Scavo, giornalista di “Avvenire” al quale va la nostra solidarietà per le minacce ricevute, che ha documentato come Abd al-Rahman al-Milad, noto come Bija, ritenuto tra gli organizzatori del traffico di migranti, abbia partecipato in Italia a incontri ufficiali tra autorita’ italiane e libiche..

L’accordo ha una durata triennale e si rinnova automaticamente tre mesi prima della scadenza e in assenza di indicazioni diverse: è per questo che lo scorso 1 novembre, in extremis, l’Ambasciata d’Italia a Tripoli ha formalmente proposto alle autorità locali, tramite una nota verbale, la convocazione di una riunione della Commissione italo-libica prevista dall’articolo 3 dell’intesa al fine di concordarne un aggiornamento attraverso “modifiche volte a migliorarne l’efficacia” e da formalizzare nel prosieguo attraverso uno scambio di note. E “la controparte libica – ha ricordato oggi nella sua informativa alla Camera il ministro dell’Interno  – ha accolto favorevolmente la proposta italiana dichiarandosi disponibile a rivedere il testo”. Le modifiche dovrebbero concentrarsi proprio sulle condizioni di vita nei Centri, che secondo la stessa Onu sarebbero stati teatri non episodici di “inimmaginabili orrori”: compravendite di esseri umani, torture, violenze sessuali, stupri e abusi di ogni tipo. Obiettivo del nostro Paese, ha assicurato il ministro, “dovrà essere quello di migliorare le condizioni dei Centri e quelle dei migranti ivi ospitati in vista della graduale chiusura dei Centri attualmente esistenti per giungere progressivamente a strutture gestite direttamente dalle Nazioni unite”. Seconda linea di intervento, sarà l’implementazione dei cosiddetti “corridoi umanitari”, per i quali l’Italia intende ritagliarsi un ruolo sempre piu’ centrale, con il coinvolgimento di altri Paesi e la regia e il finanziamento dell’Unione europea. Terzo asset, il proseguimento delle iniziative nel sud della Libia mirate al rafforzamento delle capacita’ di sorveglianza dei confini terrestri meridionali e al sostegno delle municipalità locali. Una strategia dai tempi non brevi, destinata a deludere il fronte trasversale dei contrari all’intesa, che ne chiede la cancellazione tout court e che comprende le organizzazioni non governative, le associazioni che tutelano i diritti dei migranti e i diritti umani in genere – raccolte sotto l’egida del Tavolo Asilo – e parlamentari di Pd e Leu. 

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