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Kenya, gay ancora criminalizzati. Respinto un ricorso contro le leggi coloniali

La Corte suprema del Kenya ha respinto un ricorso che chiedeva l’abolizione di leggi coloniali che criminalizzano l’omosessualità. L’Alta corte keniana ha giudicato non-incostituzionali due articoli del codice penale risalenti al periodo coloniale britannico del paese a maggioranza cristiana le quali sanzionano anche con 14 anni di carcere “la conoscenza carnale contro l’ordine di natura” o, con cinque anni, “pratiche indecenti fra uomini”. In un verdetto atteso dalla comunità omosessuale keniana ma anche da quelle di altri paesi del continente nella speranza che potesse fare tendenza, i tre giudici hanno motivato il loro no argomentando che un’abolizione delle leggi potrebbe portare al matrimonio gay, incostituzionale in Kenya (ed osteggiato dal 90% della popolazione secondo un sondaggio del 2013). I giudici inoltre hanno sostenuto che il ricorso, presentato nel 2016, non è riuscito a provare la discriminazione di cui sono vittima gli omosessuali nel paese. Eppure in Kenya gli appartenenti alla comunità Lgbt (Lesbiche, Gay, Bisessuali e Transgender) denunciano di essere vessati, licenziati e aggrediti (più di 1.500 attacchi registrati dal 2014) ma in pratica non possono ricorrere alla giustizia. La normativa, oltre ad aver consentito quasi 550 arresti fra il 2013 e il 2017, alimenta l’omofobia, sostengono attivisti gay. La speranza della comunità Lgbt era quella di vedere una nuova apertura in un grande Paese africano dopo sentenze, modifiche legislative e riconoscimenti registrati almeno in Namibia, Botswana, Uganda, Camerun, Mozambico e Angola. In Kenya a marzo erano stati aboliti gli esami anali per i sospettati di omosessualità e, almeno per una settimana, nel settembre scorso era stata permessa la proiezione del film ‘Rafiki’, incentrato su un amore lesbico e messo al bando nonostante fosse il primo film keniano arrivato al festival di Cannes. Il tutto però in un continente dove 33 stati su 54 criminalizzano l’omosessualità (rilevazione Hrw), che è perseguita con la pena di morte in Somalia e Sud Sudan e con 30 anni di carcere in Tanzania.

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