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Eritrea, Amnesty denuncia escalation di repressioni nei confronti di oppositori all’estero

Rappresentanti e sostenitori del governo dell’Eritrea, lo stato che attualmente presiede il Consiglio Onu dei diritti umani, minacciano e prendono di mira difensori dei diritti umani e attivisti all’estero che criticano il regime oppressivo dell’Asmara. 

Lo ha denunciato oggi Amnesty International, in un rapporto intitolato “
Eritrea, repressione senza frontiere”. 

Secondo le ricerche dell’organizzazione, gli stati in cui i difensori dei diritti umani eritrei corrono i maggiori rischi sono Kenya, Norvegia, Olanda, Regno Unito, Svezia e Svizzera. L’elenco delle persone prese di mira comprende il prete candidato al Nobel per la pace Mussie Zerai e l’ex direttore di BBC Africa, Martin Plaut. 

“Per molti difensori dei diritti umani, la fuga dall’Eritrea non ha significato una pausa dalla repressione, a causa della quale molti di loro sono morti proprio mentre cercavano di allontanarsene. Devono costantemente guardarsi le spalle e controllare ogni parola che dicono, impauriti dalla lunga mano del governo eritreo che si estende ben oltre le frontiere”, ha dichiarato Joan Nyanyuki, direttrice di Amnesty International per l’Africa orientale, il Corno d’Africa e la regione dei Grandi laghi. 

I sostenitori del partito al potere e i rappresentanti del governo eritreo impiegano tutte le tattiche per impaurire coloro che criticano l’amministrazione del presidente Isaias Afewerki e le violazioni dei diritti umani cui presiede: dalle minacce di morte alle aggressioni fisiche fino alla diffusione di notizie false. 
Il rapporto, che prende in esame il periodo dal 2011 al maggio 2019, evidenzia anche l’uso dell’ala giovanile del partito al potere per “combattere i nemici all’estero”, in Europa e negli Usa, spiando gli eritrei della diaspora. 

Quest’anno, ad aprile, il ministro dell’Informazione Yemane Gebre Meskel e gli ambasciatori in Giappone e in Kenya, Estifanos Afeworki e Beyene Russom, hanno scritto su Twitter post minacciosi, intimidatori e denigratori contro gli organizzatori e i partecipanti a una conferenza svoltasi a Londra dal titolo “Costruire la democrazia in Eritrea”. Nel suo tweet, il ministro Gebre Meskel ha definito gli organizzatori “collaborazionisti”. 

“Queste provocazioni da parte di funzionari del governo mostrano in tutta evidenza l’intolleranza delle autorità eritree verso il dissenso e le critiche, ovunque e da chiunque vengano espressi, persino in un periodo nel quale l’Eritrea presiede il Consiglio Onu dei diritti umani”, ha commentato Nyanyuki. 

Il ruolo dei sostenitori del partito al potere 
I sostenitori del partito al potere, il Fronte popolare per la democrazia e la giustizia, e soprattutto la sua ala giovanile, il Fronte popolare giovanile per la democrazia e la giustizia, sono in prima linea negli attacchi contro i difensori dei diritti umani e gli attivisti in Europa. 

Nel 2016 un tribunale olandese si è così pronunciato in un caso di diffamazione: 

“Il Fronte giovanile riceve istruzioni dal Fronte, il Fronte giovanile ha il sostegno del regime di Afewerki e il suo obiettivo è che i membri del Fonte giovanile agiscano come informatori per le ambasciate del regime eritreo. Il Fronte giovanile può, in questo senso, essere definito il braccio esteso del regime dittatoriale”. 

Winta Yemane, nata in Italia e orgogliosa delle sue radici eritree, ha aderito al Fronte giovanile quando frequentava le scuole superiori e, nel 2011, ha partecipato alla conferenza annuale a Oslo, in Norvegia. Quando ha preso la parola esprimendo l’auspicio in una Costituzione, nel rispetto dei diritti umani e nell’indipendenza del potere giudiziario, si è trovava rapidamente dalla parte opposta agli alti rappresentanti del governo che prendevano parte all’incontro. 

“Dissero che ero una vittima della disinformazione della propaganda occidentale e dei nemici dell’Eritrea. Dei miei commenti non si doveva tener conto perché ero minorenne. Tre degli organizzatori tentarono pure di espellermi dalla conferenza”, ricorda Winta. 

Tornata a casa a Milano, ha subito azioni di stalking per due settimane, ricevendo minacce di morte telefoniche da numeri sconosciuti e subendo una campagna diffamatoria sui social media. 

Molti altri eritrei della diaspora, tra i quali il direttore degli Avvocati eritrei in esilio Daniel Mekonnen e padre Mussie Zerai, il prete cattolico candidato al Nobel per la pace nel 2015 per il suo impegno in favore dei migranti, hanno subito attacchi e intimidazioni del genere. 

Questo trattamento, comunque, non è riservato solo agli eritrei. Il 30 novembre 2018 l’ex direttore di BBC Africa Martin Plaut è stato attirato a un incontro con una “fonte eritrea” alla British Library di Londra. Qui, gli è stato rovesciato addosso un secchio contenente liquido ed è stato definito “traditore” a causa delle sue inchieste giornalistiche sui diritti umani in Eritrea. L’ambasciatore eritreo in Giappone, Estifanos Afeworki, ha poi pubblicato un tweet esprimendo apprezzamento per l’azione. 

“Sovversivi e terroristi”: gli eritrei in esilio in Kenya 
Nel 2013, a seguito del tentativo di registrare in Kenya un’organizzazione della società civile chiamata Diaspora eritrea per l’Africa orientale, l’ambasciata eritrea ha revocato il passaporto al presidente e cofondatore Hussein Osman Said e ne ha organizzato l’arresto in Sud Sudan, sostenendo che si trattasse di un terrorista intento a sabotare il governo eritreo. 

Rappresentanti della Diaspora eritrea per l’Africa orientale hanno riferito ad Amnesty International che, quando nel febbraio 2015 hanno cercato di lanciare l’associazione, due persone identificatesi come membri dei servizi segreti del Kenya hanno ordinato loro di non andare avanti nei preparativi, in quanto avevano appreso che l’obiettivo dell’associazione era di rovesciare il governo eritreo. 

Queste accuse infondate sono proseguite nel 2017, quando l’ambasciata eritrea ha scritto all’ufficio delle Nazioni Unite di Nairobi sostenendo che 13 invitati a una mostra erano “sovversivi”. Le Nazioni Unite hanno impedito ai 13 di entrare nella loro galleria d’arte. 

“L’uso delle ambasciate all’estero da parte del governo eritreo per intimidire e reprimere le voci critiche non dev’essere consentito ulteriormente”, ha concluso Nyanyuki. 

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