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Egitto, nuovi arresti e restrizioni libertà di informazione e diritti

Arrestata ieri dopo mezzogiorno al Cairo Ahdaf Soueif insieme con la sorella Laila Soueif, la nipote Mona Seif e l’accademica Rabab al-Mahdi. Le quattro donne stavano manifestando davanti al Palazzo del Consiglio dei ministri per chiedere misure serie di contrasto alla diffusione del Covid-19 nelle sovraffollate carceri egiziane e il rilascio di Alaa Abdel-Fattah.
Figlio di Laila e fratello di Mona, il blogger e attivista, che ha già scontato sei anni di prigione per violazione della legge anti-proteste, è nuovamente detenuto da settembre per aver manifestato contro il presidente presidente Abdel Fattah al-Sissi.
Martedì 17 marzo Laila Soueif aveva scritto una lunga lettera al ministro della Giustizia facendo notare che «l’unico modo per impedire ai centri di detenzione di diventare luoghi di diffusione della pandemia e mettere in pericolo la popolazione di tutto il paese è liberare il maggior numero possibile di prigionieri».
È da tempo che le organizzazioni per i diritti umani denunciano il sovraffollamento e la scarsa igiene nelle carceri egiziane. Aspetti, questi, denunciati nelle ultime settimane da Mona in riferimento alla significativa probabilità di una progressiva diffusione del Covid-19 tra le persone detenute.
Ed è stata lei a curare ieri la diretta Fb della manifestazione, che si ferma poco dopo l’arrivo di agenti di polizia e un primo scambio di battute. Come comunicato dall’attivista Khaled Ali alle quattro donne, cui sono stati ritirati e spenti i telefonini, è stato chiesto di «discutere della questione» in una stazione di polizia. Cosa che è avvenuta in quella centrale di Qasr el-Nil.
A Sanaa Seif, sorella minore di Mona, è stato negato l’accesso alla stazione di polizia, da cui successivamente le quattro manifestanti sono state trasferite ad altro luogo. Su di loro gravano ora le accuse di riunione illegale, protesta illegale e blocco del traffico.
A far rimbalzare la notizia soprattutto l’arresto di Ahdaf Soueif, scrittrice di fama internazionale e collaboratrice del Guardian nonché fondatrice e presidente del PalFest, il Festival palestinese della Letteratura. Per il suo rilascio e quello di Laila, Mona e Rabab Pen International si è subito attivato Pen International attraverso denunce di numerosi esponenti.
In particolare, Salil Tripathi, presidente del Comitato per gli scrittori in prigione, ha dichiarato: «Il governo egiziano dovrebbe assumere il ruolo che dovrebbe svolgere come governo e rilasciare immediatamente Ahdaf Soueif e le altre, che chiedevano pacificamente il rilascio di persone detenute per impedire la loro esposizione al Coronavirus. Incarcerare scrittori che dicono la verità al potere è un vecchio trucco autoritario. L’Egitto deve uscire da quella strada».
Ed è proprio la diffusione pandemica del Covid-19 – per il cui contrasto dal Cairo si stanno adottando sempre nuove e più rigorose misure – a mettere maggiormente a rischio la libertà d’espressione in Egitto. Non a caso Monitor Pulse ha oggi titolato I censori innestano la quinta sulla copertura del coronavirus, dopo che il Governo ha minacciato il Guardian di revoca del permesso di inviati o corrispondenti nel Paese e accusato di violazioni professionali Declan Walsh, capo della sede del New York Times al Cairo. Il tutto per il rilancio di uno studio cadanese (il Guardian ha pubblicato un articolo il 15 marzo), secondo il quale sarebbero 19.300 in Egitto i casi di persone positive al Covid-19 a fronte dei 126 comunicati dal ministero della Salute.
Numero salito ieri nelle stime ufficiali a 210 sì da rendere, anche così, il Paese di al-Sisi il primo in Africa per numero totale di casi di Covid-19 e togliere un tale primato al Sudafrica che si attesta al momento a 150.
Secondo Paola Guazzo, figura di spicco del mondo intellettuale lesbico e collaboratrice de Il Manifesto, «mentre in Occidente si discute di biopotere e vulnerabilità, quattro donne in Egitto, dove per chi non si allinea ci sono arresti e torture, si muovono e vengono incarcerate per sostenere la causa dei detenuti e delle detenute abbandonate al contagio del coronavirus. Penso a una amica e compagna come Pinar Selek, che ha vissito le prigioni turche per il suo impegno, e immagino un po’ della stessa energia e felicità di lotta nonostante tutto, nelle compagne egiziane. La vulnerabilità esiste ma può scomparire se lottiamo insieme, un senso di futuro non può mai essere estirpato del tutto».

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