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Egitto, la via crucis di Patrick George Zaki. Domani l’udienza per la scarcerazione

Una via Crucis interminabile quella che sta vivendo il 27enne egiziano Patrick George Zaki, ricercatore, cristiano copto, attivista per i diritti umani.
Posto in stato di fermo all’aeroporto de Il Cairo, dove, giunto dall’Italia il 7 febbraio, è stato tenuto bendato e ammanettato in un interrogatorio di 17 ore con le accuse di incitamento a disordini, rovesciamento del regime e pubblicazione di notizie e dati falsi attraverso account social, il giovane è stato trasferito, il 5 marzo, nel carcere di Tora a sud della capitale. Quarto spostamento, dunque, in meno di 30 giorni dopo essere stato detenuto fino al 13 febbraio presso la stazione di polizia di Mansoura (sua città natale), poi presso quella di Talkha fino al 25 quando è stato condotto nel carcere di Mansoura a seguito di un prolungamento di ulteriori 15 giorni delle misure cautelari.
Ieri, infine, il trasferimento a Tora, nel cui braccio di massima sicurezza, noto come Lo Scorpione (سجن العقرب), sono detenuti soprattutto i prigionieri politici. Il carcere è tristemente noto per abusi, torture e violazioni dei diritti umani – come la negazione delle cure sanitarie – in un crescendo senza sosta iniziato nel 2013, l’anno dell’arrivo al potere del presidente Abdel Fattah al-Sisi.
«Ben 449 prigionieri – ha dichiarato all’agenzia Dire Leslie Piquemal, componente del Cairo Institute for Human Rights (Cihr) – hanno perso la vita nel carcere egiziano di Tora tra il 2014 e il 2018. Si tratta di casi documentati dalle nazioni Unite. Se poi allarghiamo la forbice di tempo, tra il 2013 e il 2019 i morti salgono a 917. Di questi, 677 hanno perso la vita per non aver ricevuto cure mediche, 136 per le torture subite da parte degli agenti carcerari».
Una situazione inverosimile aggravata da un’ampia campagna diffamatoria in Egitto, dove, a fronte della mobilitazione italiana ed europea per l’immediato rilascio di Patrick, sottoposto in regime detentivo a elettroshock, lo si è dipinto come studente di “immoralità”, venuto in Italia per imparare l’omosessualità. Questo per il semplice fatto che Patrick sta frequentando il master Gemma (Studi di Genere e delle Donne) presso l’Università di Bologna ed è impegnato anche per la tutela delle persone Lgbti.
Per comprovare una tale tesi, il giornale ufficiale dello Stato egiziano, Akhbar Elyom (خبار اليوم‎,), e i media nazionali hanno tirato in ballo, il 20 febbraio, il quotidiano online Gaynews.it, diretto da Franco Grillini, il cui caporedattore ha semplicemente messo in rilievo, nei vari specifici articoli, l’attivismo umanitario e sociale del 27enne.

E oggi, al posto della manifestazione di protesta annullata in adempimento dei limiti imposti dalle misure cautelari per il Coronavirus, Amnesty Bologna ha invitato a esporre un lenzuolo, un telo o un cartellone alle finestre con la scritta Patrick Libero/ Free Patrick. Il tutto per ricondurre l’attenzione dei media e della classe politica al caso del giovane di Mansoura, oscurato dall’emergenza Covid-19.
Nella stessa ottica il Twitter Storm, lanciato ieri da Amnesty Italia, che ha visto oltre 2.000 tweet di solidarietà in meno di due ore con l’hashtag #FreePatrickZaki e i tag di al-Sisi e del ministero degli Esteri egiziano.
Anche perché domani, come ha ricordato Erasmo Palazzotto, deputato di Sinistra Italiana-Leu e presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, «si deciderà se rinnovare la detenzione di Patrick Zaki. Far sentire la nostra voce, ancora più forte, è un modo per evitare che l’ingiustizia subita non finisca nel dimenticatoio. C’è in ballo la sua vita. I diritti di tutti noi».


Parole che assumono un maggiore significato qualora si consideri che è sicura la vendita all’Egitto delle due ultime Fremm (Fregate Europee Multi-Missione) Emilio Bianchi e Spartaco Schergat, prodotte originariamente da Fincantieri per la Marina militare italiana. Ma in ballo ce ne sarebbero altre quattro insieme con 24 cacciabombardieri Tifone e aerei da addestramento Macchi M-346.
Su tutto dovrà decidere il Governo nella persona del ministro della Difesa ma anche del sottosegretario pentastellato agli Affari Esteri Manlio Di Stefano, che, sulla base della specifica delega tra le innumerevoli recentemente concessegli da Luigi Di Maio, si occupa dell’autorizzazione di tutte le cessioni di armi e di materiale dual use, cioè potenzialmente convertibile in materiale bellico. Non certo in linea con uno dei cavalli di battaglia dell’agenda politica dell’M5s.

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